rassegna stampa

Quando il calcio italiano parlava il «violese». Quanta nostalgia per l’ingegner Roma

Il 'violese' quella lingua usata contro il Palazzo, assediandolo per anni, sfidandolo sull’interpretazione dei regolamenti, invocando giustizia prima e vendetta poi, quando voleva stanare il Grande Corruttore del calcio italiano

Redazione

Chi non lo capiva, o fingeva di non capirlo, finiva per deriderlo, l’unico modo per non sentirsi perduto. L'edizione odierna de La Gazzetta dello Sport ricorda così Dino Viola ed il «violese»: una lingua corrosiva, piena di sottintesi da decodificare tra le righe. L’arma che il presidente della Roma dal 1979 al 1991, stroncato da un tumore il 19 gennaio di 25 anni fa, ha usato contro il Palazzo, assediandolo per anni, sfidandolo sull’interpretazione dei regolamenti, invocando giustizia prima e vendetta poi, quando voleva stanare il Grande Corruttore del calcio italiano. Aveva capito molte cose degli arbitri, ben prima di Calciopoli.

Un presidente amato e odiato, soprattutto temuto. Di lui, con disprezzo, si diceva: «Produce i cingoli dei carrarmati». Vinse tante battaglie: acquistò Cerezo quando non si poteva, fece allenare Eriksson e non poteva fare nemmeno quello. Negli ultimi anni, quando aveva perso forza economica, le sue battaglie divennero ambigue. Dal caso Vautrot fino al Lipopill di Peruzzi e Carnevale, che gli assestò il colpo finale. Ma per un decennio costrinse il calcio italiano a spostarsi sull’asse Torino-Roma: fece della Rometta una regina del calcio italiano affidandola alla sapienza di Liedholm e all’intelligenza di Falçao. Dal 1980 al 1986 vinse uno scudetto, atteso 41 anni, e quattro Coppe Italia. E alla sua prima partecipazione arrivò in finale di Coppa dei Campioni.

Ed ora ci avviciniamo al big match contro i bianconeri: «Con la Juve è sempre una questione di centimetri», commentò Viola dopo il gol annullato a Turone. Allora, Boniperti gli inviò un righello: «Così puoi misurarli meglio». E lui replicò: «È uno strumento più adatto a un geometra come te, che a un ingegnere come me». I tifosi romanisti non lo hanno mai dimenticato. E non a caso ieri, alla messa di suffragio, lo hanno ricordato con questo striscione: «Ci manca il tuo violese caro presidente...».

A.Catapano