rassegna stampa

Paulinho: “Ho i capelli lunghi e il codino ma non sono rock come Osvaldo. Provai con la Roma ma presero solo il mio amico Felipe”

(Gazzetta dello Sport – A.Gozzini) Paulinho arriva pedalando, in sella a una bici bianca. È la metafora della sua carriera.

Redazione

(Gazzetta dello Sport - A.Gozzini)Paulinho arriva pedalando, in sella a una bici bianca. È la metafora della sua carriera.Aveva 15 anni quando il Livorno la notò per la prima volta.. Alla Juventude, allora, non eravate proprio così scarsi.

«Altro che, eravamo proprio uno squadrone. Ci permettevamo il lusso di far giocare Thiago Silva terzino destro. C’erano Ederson, quello che ora è alla Lazio, poi Naldo dell’Udinese, Fernando Menegazzo, Dante del Bayern Monaco. Io ero tra i più vecchi...».

Da lì la misero su un aereo ed è diventato subito Paulinho?

«Per niente... In mezzo sarei potuto finire all’Inter, alla Roma, al Torino. A Milano feci meno di una settimana di prova con i giovani della squadra. Vedevo dall’altra parte allenarsi Adriano, Recoba, Materazzi... ma non andò. Alla Roma arrivai col mio amico Felipe Spellmeier, ragazzi: un fenomeno assoluto. Infatti venne tesserato: restò un anno, poi più nulla. Si è perso, forse non aveva tanta testa. In mezzo per me arrivò la convocazione dell’Under 20 brasiliana, il prezzo del mio cartellino salì».

Nazionale brasiliana Under 20, da sempre raccoglie talenti preziosissimi.

«Giocavo con Fernandinho, Diego Tardelli, Rafael Sobis, Rafinha, Jo. Mi chiamarono per diverse partite di fila, giocai il mondiale in Colombia, segnai...».

Quindi lì esplose definitivamente.

«Ancora no. Provai anche con il Chelsea: catapultato dal Brasile a Londra, ero fuori dal mondo. Era il Chelsea di Mourinho. Lui mi vide in difficoltà, si avvicinò, parlammo in portoghese, “hai grandi potenzialità, ma devi crederci di più”, mi disse qualcosa di simile».

Con la benedizione di Mou tornò in Italia. Stavolta ebbe davvero inizio la sua storia al Livorno. Subito facile?

«Mai. Il primo anno di A avevo davanti solo due come Protti e Lucarelli. Non giocai molto. Avevo vent’anni, ero solo, giocai una partita con la Primavera, sbagliai due rigori. Ecco, non sono proprio Balotelli da quel punto di vista... In ogni caso volevo smettere e tornare a casa. Non era uno sfogo, ero convinto: “È troppo dura per me, non ce la faccio” dicevo a chi mi era vicino. Poi sono andato avanti. Decisivo, più tardi, è stato il prestito al Sorrento: giocavo sempre, scendere di categoria ti forma, anche nella mentalità».

A proposito, Paulinho chi è?

«Un brasiliano atipico, sono tranquillo, timido. Ho i capelli lunghi e il codino ma non sono rock come Osvaldo. Mi piace il calcio, ma non sono uno fissato. Amo il cinema, i thriller in particolare. Poi la musica, anche quella italiana. Ma il mio tempo preferito è quello passato con mia moglie Maynara e con Jann Mattheus, mio figlio, 2 anni. La sua data di nascita ce l’ho tatuata sul braccio insieme a tante altre cose, compreso un passaggio della Bibbia, Lettera ai Filippesi, “Tutto posso in Colui che mi dà la forza”. Sono cattolico e credente, ma non fanatico, rispetto tutte le religioni».

Ora però il giro è finito. È tornato, l’anno scorso ha fatto gol 20 in B, e 3 su 3 ora in A.

«Merito di tutta la squadra. La base è il gruppo dell’anno scorso, Nicola è bravissimo e disponibile. L’obiettivo è la salvezza e c’è ancora molto da pedalare».

Appunto.

«Prima di aprire un chiosco e andare a tagliare cocco sulla spiaggia di Florianopolis, il futuro me lo immagino così».