«Mi sento rappresentato da ciò che dirà Malagò». Sembra una battuta-dribbling fatta apposta per saltare a pie’ pari ogni domanda sul caso Tavecchio. Forse serve pure a quello, ma potrebbe esserci altro. Matteo Renzi, ricevendo azzurre e azzurri della scherma, smista il caso Tavecchio al presidente del Coni: nessuna invasione, è lui che deve scendere in campo per misurare la «febbre» della Federcalcio in viaggio verso le elezioni dell’11 agosto. Viaggio che fra l’altro ieri ha toccato anche l’America con il durissimo attacco di James Pallotta, il presidente della Roma: «Le parole di Tavecchio sono umilianti per l’Italia».
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Pallotta su Tavecchio: «Umilia l’Italia come si fa a votarlo?» E Renzi lancia il Coni
Ora spetta al Coni decidere. Anche un commissariamento, ma senza ipotesi «esterne» o «tecniche», già tutte bruciate.
SOLUZIONE MALAGO' Spetta al Coni decidere, dunque. Anche un commissariamento, ma senza ipotesi «esterne» o «tecniche», già tutte bruciate. Semplicemente mettendo in pista il suo presidente, Malagò appunto (magari con un ruolo anche per Michele Uva, attualmente alla Coni Servizi). L’unico che potrebbe evitare il muro contro muro fra la maggioranza «tavecchiana» e l’asse calciatori-allenatori. Insomma, se lo stillicidio di defezioni non si fermasse, se si rafforzasse la sensazione che un’elezione del leader della Lega Dilettanti porterebbe a un immobilismo di fatto, la soluzione Malagò commissario, il numero uno del Coni che ha incassato nelle ultime settimane diversi elogi da parte di presidenti di club (di recente è toccato a De Laurentiis), prenderebbe molti punti. A quel punto, si assisterebbe a una crisi pilotata fra il ritiro di Tavecchio e la «non maggioranza» di Albertini, nel contesto tecnico per l’intervento Coni.
IL GOVERNO RESTA FUORI È chiaro comunque che il Governo non si muoverà. Renzi non ha voglia di aprire una partita fra centro-destra pro Tavecchio e centro-sinistra contro. Ha censurato la frase razzista di venerdì, deve registrare la mobilitazione del Pd per il «passo indietro», anche ieri sollecitato da un gruppo di deputati guidati dal presidente del partito, Matteo Orfini («Mi vergogno del mio Milan che lo appoggia»). Ma il Premier è convinto che sia dentro lo sport che debba giocarsi il match. Opinione condivisa dal sottosegretario Graziano Delrio, «vigilante» sullo sport, che su Tavecchio è più duro: «La sua frase è molto infelice e si inserisce in una cultura sportiva sbagliata, ma la decisione è sua e della Federazione». E si torna a Malagò. Che non ha fretta. Il presidente del Coni sta blindando le sue riflessioni, in un primo tempo avrebbe voluto parlare domani, dopo l’incontro con i due candidati - Albertini in mattinata, Tavecchio nel pomeriggio - al Foro Italico. Ma le sue parole potrebbero essere una fuga in avanti rispetto a un contesto troppo in evoluzione. È probabile che aspetti ancora un po’. MA TAVECCHIO RESISTE D’altronde questo possibile sviluppo è tutto da verificare. Per ora Tavecchio ha una maggioranza importante. Importante, magari non più abbondante, ma importante. E né lui, né i suoi sponsor - Galliani e Lotito in primis - stanno prendendo in considerazione un dietrofront. «Tavecchio rappresenta una candidatura largamente condivisa, è il rinnovamento nella continuità. Vorrei sottolineare il suo impegno nel rilancio del calcio femminile, proseguendo l’importantissima battaglia contro il sessismo», è la difesa a spada tratta del presidente della Lazio. Potrebbe esserci in subordine anche una soluzione intermedia, la richiesta a Tavecchio di dare alcuni segnali forti, in termini di scelta della «squadra» e non solo. Di certo, chi non ha dubbi sull’opportunità della sua elezione è James Pallotta, il businessman statunitense planato sul calcio italiano che, dalla patria dei diritti civili e del politicamente corretto, non avrebbe mai immaginato di dover assistere a scene simili. «La nostra posizione è stata chiara fin dall’inizio. Riteniamo queste dichiarazioni imbarazzanti e umilianti per l’Italia. Non rappresenta l’Italia e nemmeno la Roma, e non capisco come alcuni club lo sostengano». La società giallorossa è un’anti-tavecchiana della prima ora, al pari della Juventus. Minoranze rumorose ma inizialmente esigue che, dopo l’offesa razzista di venerdì, si stanno via via infoltendo. Numeri In Serie A, sul colle del «noi non ci stiamo più» è salito pure il Sassuolo con una nota dettata dal patron Giorgio Squinzi, leader di Confindustria. In precedenza si era dissociata la Fiorentina, seguita a ruota, senza troppa convinzione, da Sampdoria e Cesena. Caso singolare a Palermo, dove un ordine del giorno approvato dal consiglio comunale chiede a Zamparini di ritirare il sostegno a Tavecchio. Anche in B alcuni club sono segnalati in dissenso rispetto alla linea dettata da Andrea Abodi (il Brescia ha dichiarato che voterà per Albertini). E uno smottamento potrebbe esserci in Lega Pro, con una decina di società in pausa di riflessione. Tavecchio viaggiava verso il 70% e ora è posizionato sul 60%. Il suo fronte comincia a preoccuparsi.
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