Il calcio è essenzialmente un luogo di nostalgie e di speranze, scrive Massimo Cecchini su La Gazzetta dello Sport, anche se ha il paradosso di essere governato dalla legge dei numeri. José Mourinho nella Roma, ad esempio, è una sorta di centrifuga permanente di tutto il passato che sprigiona a ogni parola (e che lui stesso tiene a ricordare), destinato ad alimentare aspettative sempre altissime. Così la partenza a handicap in campionato ha suscitato tanto stupore, perché lo Special One in giallorosso non era mai partito tanto male.
La Gazzetta dello Sport
Mou mai così male. Non basta Lukaku, José vuole scuotere una Roma in ritardo
Vero, nel suo primo anno ci era andato vicino, ma se la classifica finale della Serie A non ha mai sorriso troppo, la vittoria in Conference e la finale di Europa League alle latitudini di Trigoria hanno fatto la storia. Certo, un punto e mezzo di media a partita non è un passo da qualificazione Champions. Non a caso lo stesso Mourinho, in carriera, dopo 12 giornate non era mai partito col freno a mano così tirato, se si eccettua la stagione vissuta nel Chelsea 2015-16, in cui la media punti era stata addirittura di 0,94. Un numero che fa fare un figurone anche al presente giallorosso, nonostante siano oltre dieci anni (dal 2012-13) che la Roma non partiva così male in campionato.
I “mourinhani” osservanti danno la colpa al mercato. Di tutti gli arrivi estivi, questo scorcio di stagione ha sancito solo un paio di titolari sicuri, Romelo Lukaku e Leandro Paredes, più un altro come Ndicka che sta conquistando spazio grazie alle emergenze. Tutti gli altri – Kristensen, Renato Sanches, Aouar, Azmoun e il rientrante Llorente – hanno avuto sprazzi di brillantezza, ma mai la continuità sufficiente per insidiare i “vecchi”, se si eccettuano le assenze per problemi medici.
E allora si rotola in fretta verso la seconda voce, quella legata agli infortuni, che hanno condizionato anche la scelte tattiche di un gruppo, forse legato troppo alla difesa a tre e con centrocampisti troppo compassati. Ma se l’assenza di alcuni è stata sorprendente – pensiamo al calvario di Smalling – gli altri stop sono frutto di quelle che lo stesso Mou ha definito scommesse. Ovvero, se nella presumibile formazione titolare puoi schierare costantemente Spinazzola, Pellegrini, Sanches e Dybala, la possibilità di fare la differenza è enorme. Se però le assenze per infortunio li tolgono di scena, di sicuro è difficile rimanere sorpresi, visto lo “storico” che li accompagna. Come dire, le scommesse –obbligate per via dei limiti imposti dal fair play finanziario al mercato – si possono vincere, ma si possono anche perdere.
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