rassegna stampa

Menez: “A Roma anni pieni di passione. Con Totti mi intendevo a occhi chiusi, era un fratello”

Il francese: "Dicevano che avevo le doti di Kakà. Seguo ancora i giallorossi, Pastore se sta bene è una garanzia"

Redazione

Forgiato dalla strada, salvato dal calcio. Jeremy Menez ha sempre avuto la sua: "Potevo fare molto di più, ma non ho lavorato abbastanza. Pensavo bastasse il talento" dice l'ex giallorosso intervistato da Francesco Pietrella su La Gazzetta dello Sport.

Oggi Jeremy è tornato in Francia, gioca in Ligue 2 con il Paris FC: "Vengo da due anni pessimi tra Turchia e Messico. Ho avuto problemi personali di cui non voglio parlare...". Ora il mare è calmo: "Ho 32 anni, riparto da dove sono cresciuto". Banlieue 94, periferia di Parigi. Serpentoni di cemento dove si è adulti già da adolescenti.

Pensa di aver reso al 100%?

"Negli allenamenti dicevano che ero forte come Kakà, poi in partita avevo qualche pausa. Ero giovane, ma non ho mai sentito la pressione. Questa parola non mi rappresenta".

Proviamo con "fiducia".

"Ne ho bisogno. Se la percepisco, rendo al massimo. È accaduto al Psg con Ancelotti, il numero uno. Veniva con noi al ristorante, non urlava mai. Giocare a Parigi era il mio sogno, per questo scelsi di andar via da Roma. Dissi no anche alla Juve; ricordo le chiamate di Conte per convincermi a firmare".

Ci racconti il rapporto con Spalletti e Ranieri.

"Luciano era una bella persona. A volte mi sgridava, voleva farmi crescere. Sia lui che Ranieri sono stati due secondi padri. Mi guardavano con un occhio di riguardo. Nel 2010, poi, sfiorammo lo scudetto, non capisco ancora il perché di quella sconfitta con la Samp. A Roma non ho vinto niente, ma ho vissuto tre anni pieni di passione. Con grandi compagni, primo fra tutti Totti, un fratello maggiore. In campo ci intendevamo a occhi chiusi. I primi mesi ho vissuto a casa dei suoi genitori, come aveva fatto anche Cassano anni prima. Persone fantastiche, come De Rossi".

Segue ancora la Serie A?

"Soprattutto Milan e Roma. Pastore è un amico. Talento puro. Peccato per gli infortuni, ma se sta bene è una garanzia".

Cosa direbbe, oggi, al Menez adolescente?

"Di lavorare duro e fare meno cavolate. Faccio parte di una generazione d’oro del calcio francese. Io, Nasri, Benzema, Ben Arfa. Nel 2004 vincemmo l’Europeo Under 17, ci sentivamo i re del mondo, ma sono felice di quello che ho avuto".