rassegna stampa

La Roma, lo stadio e l’occasione d’oro

Il commento di Marco Iaria: "All’estero l’appeal della Serie A è caduto in basso non soltanto per l’assenza di super-attori, ma anche per la pochezza della scenografia: stadi vecchi, scomodi e mezzi vuoti. Così non si sopravvive"

Redazione

Quando l’Arsenal traslocò dal mitico Highbury all’avveniristico Emirates Stadium, non si trattò soltanto di faccende pallonare, scrive Marco Iaria su "La Gazzetta dello Sport". Il quartiere di Islington, nord di Londra, è stato riqualificato con interventi sul 42% del municipio: i Gunners si sono impegnati a migliorare il sistema di trasporto e a ricollocare 74 attività produttive che sorgevano in quell’area, in cambio si sono dotati di una struttura efficiente e hanno potuto vendere oltre 600 appartamenti sorti sulle ceneri del vecchio impianto. Risultato? A fronte di costi per 390 milioni di sterline, i ricavi annui da stadio sono schizzati da 44 a 100 milioni.

I dirigenti del calcio italiano, invece sono stati miopi, capaci di bruciare tutti i soldi delle tv in spese «sportive» (con le eccezioni di Juve, Udinese, Sassuolo), ma quando qualcuno ha provato a guardare oltre ci si è messa di mezzo la politica, o la burocrazia, o tutt’e due assieme, confermando un’amara verità: in Italia il calcio è sempre stato trattato dai governanti come oppio dei popoli e mai come industria strategica che, indotto compreso, vale 14 miliardi di euro. Quello che sta accadendo nella Capitale è paradigmatico. Lo stadio che il patron della Roma Pallotta, assieme al costruttore Parnasi, vuole edificare a Tor di Valle non è percepito come un investimento utile, ma quasi come un fastidio.

Ci saranno criticità su quell’area, o accuse di speculazione, ma sarebbe sciocco non intravedere in questo progetto un punto di svolta per la Roma e per il calcio italiano e ricadute positive sul territorio. I tre grattacieli potrebbero sembrare esagerati, ma per costruire uno stadio e renderne sostenibile la gestione sono indispensabili le compensazioni economiche. All’estero l’appeal della Serie A è caduto in basso non soltanto per l’assenza di super-attori, ma anche per la pochezza della scenografia: stadi vecchi, scomodi e mezzi vuoti. Così non si sopravvive.