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La Gazzetta dello Sport

La delusione viaggia da Budapest tutta giallorossa all’Olimpico pieno

La delusione viaggia da Budapest tutta giallorossa all’Olimpico pieno - immagine 1
L’esplosione al gol di Dybala poi l’incertezza si mangia l’entusiasmo E alla fine è dolore, come 39 anni fa
Redazione

Finisce fra le lacrime. Ma non è gioia, è delusione, scrivono Elisabetta Esposito e Valerio Piccioni su La Gazzetta dello Sport Grande, gigantesca. È Paulo Dybala, l’autore del gol del vantaggio a piangere in mezzo allo stadio di Budapest. Piange alla Puskas Arena e il “suo” Olimpico. Quasi per risarcirlo, per dirgli ti vogliamo bene. Poi la squadra va sotto la curva a Budapest e a Roma continuano ad applaudire. No, cosi no, non può essere. Maledetti rigori, ancora loro. Come 39 anni fa. E pensare che era stato tutto così bello: la vigilia, l’attesa, l’inizio, Francesco Totti che “posta” la coreografia con il gigantesco “Figli della lupa”, una collezione fantastica di sorrisi prima di cominciare, tanti segni premonitori, la sensazione di una serata magica, gli inni giallorossi cantati a squarciagola. Fino al gol di Dybala, e chi se non lui. Tutto perfetto. Una notte delle favole diventata però delle lacrime. C’era pure la storia di mezzo, la storia dei due stadi: Ferenc Puskas, a cui è intitolata l’Arena della capitale ungherese, segnò la prima doppietta del lungo romanzo dello stadio Olimpico nel 3-0 che la sua Nazionale rifilò all’Italia. Magari da lassù qualche parolina l’avrebbe potuta dire. Un “trattami bene la Roma”. E invece no. E invece ora c’è un altro pezzo di storia, tristemente molto più noto, che riempie di questa notte il sogno diventato incubo, i maledetti rigori di Roma-Liverpool.  No, così no, non può essere. Sulle strade di Budapest, e più tardi allo stadio, la supremazia numerica della tifoseria giallorossa si era fatta con il passare delle ore schiacciante. Con un Olimpico che s’e riempito all’improvviso, proprio come fanno gli stadi spagnoli. Con quella prima inquadratura dei tifosi giallorossi di Budapest che ha prodotto il primo applauso con lo speaker a dire: "Questi sono i nostri!". E poi il primo boato alla zoomata su Mourinho, l’urlo spezzato all’occasionissima di Spinazzola, i silenzi pieni di speranza al momento della Var per l’intervento su Abraham che ha fatto gridare al rigore. E poi quel gol che sembrava aver risolto tutto e invece non aveva ancora risolto niente come diceva Mourinho con quel gesticolare del tipo: "Calma, non è successo niente". Poi la ripresa con l’autogol di Mancini e quella sensazione crescente di disagio, come se a un certo punto la preoccupazione e l’incertezza si fossero mangiati piano piano tutto l’entusiasmo trionfale con cui era stata vissuta tutta la giornata. E con gli andalusi, anche sugli spalti, capaci di prendere coraggio e di provare a mettere in discussione pure la gara del tifo. Che strano il calcio. In questa sua perfida capacità di trasformare la gioia in una delusione che ora imprigiona tutti gli sguardi e le parole. E che sarà difficile dimenticare anche per quel modo, la crudeltà dei calci di rigore, con cui tira giù dalla soffitta l’incubo di 39 anni fa.