Una casa non è quasi mai per sempre, ma c’è modo e modo di lasciarla, scrive Andrea Elefante su La Gazzetta dello Sport. Per questo a José Mourinho, quando tornò a San Siro con la Roma, i tifosi dell’Inter scrissero "Bentornato a casa, José". Per questo per Romelu Lukaku rientrare in quello stadio, con lo stesso giallorosso addosso, sarà solo, e per sempre, un rumore: non dei nemici, ma dei fischi (non più fischietti) che sanciranno definitivamente la fine di quella che era sembrata una vera partita del cuore. Mentre il cuore degli interisti continua a battere per Mourinho con nostalgia che non prevede rimpianti. Anche se da poco ha pronunciato una frase sarcastica, rimbombata in apparenza come schiaffo: "Non sapevo che Lukaku avesse avuto un ruolo così importante nella storia dell’Inter". Anzi, proprio perché l’ha detta: parole in cui riconoscerlo per come i tifosi nerazzurri lo hanno conosciuto, il santo protettore della sua gente e della sua squadra - e oggi Lukaku lo è, e gioca nella sua squadra - sempre e comunque, a prescindere. Coerente a costo di essere frainteso.
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Questo è stato il primo segreto della totale immedesimazione fra un popolo e il suo leader, perché questo è stato il Mourinho interista: tifoso e capo, dunque capo dei tifosi, idealmente seduto su una balaustra della Curva Nord, in mano il megafono per urlare le parole che qualunque fedele pensava da tempo e sempre avrebbe voluto dire: serviva qualcuno che lo facesse per lui. E nessuno lo aveva mai fatto, avrebbe saputo farlo, con la stessa dialettica sfacciata, al confine con l’arrogante.
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