rassegna stampa

Hamrin: «Nessuno passa come Totti. I miei tattoo? Le cicatrici»

«Il capitano della Roma è fantastico, un giocatore che da solo vale il prezzo del biglietto. Nessuno fa la sponda nel mondo come lui. Garcia gli ha allungato la carriera».

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Papà Karl era affacciato alla finestra. A quei tempi giocava centravanti in una squadra di C. «Avevo 8 anni e con altri amici avevamo organizzato una partita nel cortile di casa. Due pietre al posto dei pali, un pallone vecchio che rimbalzava male. Dopo pochi minuti superai in dribbling 6-7 bambini e feci gol. Andai subito a cercare con lo sguardo mio padre. Mi aspettavo un sorriso, un applauso. Invece, niente. E la sera a cena mi disse: “Kurt, a calcio si gioca in undici”. Una lezione che mi ha accompagnato per tutta la carriera».Kurt Hamrin oggi è un uomo di 80 anni che maledice un problema tendineo che gli impedisce di giocare a tennis con il suo amico Orzan. «Siamo stati campioni toscani. Sono bravino con la racchetta, ho cercato di imparare dal mio mito Borg».

L’appartamento dove vive, a pochi metri da Coverciano, non è un museo che racconta la vita di campione. Il pallone in casa è solo un ospite gradito. I veri eroi di famiglia sono la moglie Marianne, i 5 figli, gli 8 nipoti e il bisnipote Mattia Roggi. Una «squadra» da scudetto. «A 16 anni – racconta- ero apprendista zincografo per il giornale svedese Dagens Nyheter . Lo sport era divertimento. Ho giocato due partite nella nazionale svedese di hockey. Ogni disco vagante era mio. E mi ero conquistato un posto anche nella Svezia di calcio. Ogni presenza era premiata con una forchetta o un coltello d’argento. Conservo ancora il servizio».

Poi Gianni Agnelli la «scopre» e la acquista per quindicimila dollari.

«Cinque reti nelle prime 5 gare alla Juve. Poi mi rompo il quinto metatarso. E nei successivi 6 mesi mi fratturo altre 4 volte nello stesso punto. Non ero stato curato bene».

Dalla Juve, al Padova.

«Lì scopro Rocco. Il Paron mi porta da un ortopedico che mi crea una scarpa su misura. Il piede è a posto e arrivano i gol: 20 in 30 gare. Rocco poi l’ho avuto nel periodo d’oro al Milan. Non era un grande allenatore ma un formidabile psicologo. Prima della partita ci diceva: “In campo decidete voi se c’è da cambiare qualcosa. Se l’idea funziona il merito è mio e se dovesse andare male mi prendo ogni responsabilità”. Geniale e onesto».

La Fiorentina la acquista per sostituire Julinho.

«Nove anni fantastici con un solo rimpianto: non aver lo scudetto. Gli arbitri ci penalizzavano nei momenti chiave. Eravamo “piccoli”».

Rocco lo chiamava «Faina», a Firenze spuntò il soprannome «Uccellino».

«Fu il giornalista Pegolotti a inventarlo. Nella locandina della Nazione uscì il titolo: “Uccellino che vola”. Un mistero spiegato in un articolo pubblicato nello sport: Uccellino ero io».

Ed eccoci al Milan.

«Uno scudetto troppo facile, una Coppa dei Campioni vinta contro l’Ajax. Giocare con Gianni Rivera voleva dire avere una telecamera sulla nuca, ti metteva il pallone sulla testa».

Per qualche mese ha provato a fare l’allenatore.

«Mi chiamarono per fare il vice a Vercelli e dopo poche settimane mi fecero fuori con motivazioni assurde. Dissi a mia moglie che non avrei mai allenato: “Non voglio svegliarmi e essere licenziato perché un presidente ha dormito male”.

E così si dedicò ai bambini della scuola calcio.

«Prima ho fatto import-export con la Svezia. Nel calcio non avevo guadagnato abbastanza per garantire un futuro sereno ai bambini. E così il bomber Hamrin si svegliava alle 5 di mattina per andare a Brescia a trattare di lampadari».

Meglio insegnare come si colpisce un pallone...

«Alla Settignanese ho capito che i genitori sono la rovina dei bambini. Li sentivo rimproverare il figlio per un tiro sbagliato. Una vergogna».

Hamrin e la nazionale.

«Ricordo il gol alla Germania in semifinale mondiale, dopo averne scartati 7. Una rete alla Maradona. E la finale persa con un Brasile di mostri».

Meglio Pelè o Maradona?

«Pelè».

Messi o Ronaldo?

«Messi, mi rivedo in alcuni suoi gesti tecnici».

Cosa non le piace del calcio italiano?

«Non c’è più fame e c’è sempre meno qualità. Ormai si parla solo di tweet, creste e tatuaggi. I miei tatuaggi erano le cicatrici. E non sopporto le simulazioni. C’è gente che appena viene sfiorata crolla come se fosse stata uccisa. Questa è slealtà e gli arbitri fanno finta di non vedere».

Un giocatore che vale il prezzo del biglietto.

«Totti. Fantastico. Nessuno fa la sponda nel mondo come lui. Garcia gli ha allungato la carriera».

Un talento sul quale si sente di scommettere?

«Dybala del Palermo. Mi fa impazzire».

Domenica c’è Milan-Inter.

«Che triste un derby che non vale per lo scudetto. Inzaghi deve avere la società alle spalle. El Shaarawy è l’unico potenziale fuoriclasse ma non è un leader. E la difesa rossonera fa acqua».

Anche la sua Fiorentina è in affanno.

«Cuadrado un anno fa era fantastico, ora è inesistente. Un mistero. Con Gomez bisogna avere pazienza e Rossi non si sa quando tornerà».

Cosa c’è nel futuro di Hamrin?

«Festeggiare a febbraio 60 anni di matrimonio».