rassegna stampa

Gran Premio Champions Rudi e Stefano, ora giù il piede

Il traguardo è lì davanti, ma i bookmaker sono indecisi, gli spettatori pure sono indecisi, i protagonisti invece tutti convinti che sì, la vittoria sarà loro

Redazione

L’attesa è oggi, ma il Gran Premio è già partito. Una vita fa, come la 500 Miglia di Indianapolis. È che qui, dopo 198 di quei 200 giri, siamo quasi al punto di partenza. Il traguardo è lì davanti, ma i bookmaker sono indecisi, gli spettatori pure sono indecisi, i protagonisti invece tutti convinti che sì, la vittoria sarà loro. È duello vero, un terzo incomodo alle spalle pronto ad inserirsi razionalmente giusto per una medaglia d’argento. Ma l’oro, lo champagne di questo strano lunedì calcio-motoristico, se lo giocano Roma e Lazio. Che sudano sul circuito da 9 mesi. Un parto, ma a cercare la metafore non si finisce più. La Formula 1 rende bene l’idea: due team che fanno a sportellate, si incrociano ai box, si studiano, quasi si copiano. Non si amano per niente, da sempre. Figurarsi poi quando a un certo punto del circuito hanno capito che sarebbero stati rivali diretti, perché uno dei due ha avuto seri problemi al motore in inverno, mentre l’altro ha trovato via via un assetto forse neppure solo sperato a inizio stagione.

PRIMO SORPASSO  È un Gp d’altri tempi, di quelli che forse giusto Nigel Mansell o Ayrton Senna, con tutto l’affetto per Lewis Hamilton o Sebastian Vettel. Se cercate una location, un circuito, più che Indianapolis sarebbe bene restare in Europa, visto che proprio l’Europa sotto forma di Champions ci si gioca. E allora la sagoma non può che essere quella di Spa, la più lunga delle piste, un pezzo di storia della Formula 1, terreno dove i sorpassi sono possibili, quando non addirittura frequenti. Perché qui non siamo a Montecarlo, qui qualche sgommata vincente già s’è vista. La Lazio è entrata in scia in primavera con 8 giri veloci consecutivi fino all’Empoli, la Roma ha cominciato a guardare gli specchietti con ansia quando già era troppo tardi: dalla panchina, pardon dai box, non è mai arrivata una soluzione convincente/definitiva ai problemi di una macchina con «un granellino di sabbia nell’ingranaggio», copyright Florenzi. Diagnosi sbagliata, evidentemente. E così, quegli 8 giri hanno portato prima a un accenno di sorpasso, richiuso da De Rossi a Cesena, poi alle ruote avanti mentre la Roma finiva lunga alla chicane di Torino.

IL DUELLO Era l’inizio della battaglia vera. Gli specchietti? Meglio non controllarli, tanto il rivale è di fianco. Magari sulla stessa linea, come quando Pioli rallenta sulla salitona Juventus e la Roma fa il gambero mentre doppia Edy Reja e l’Atalanta. Aggancio, ma dura poco. Perché Garcia va fuori pista nella curva nerazzurra. Buon per Pioli, ma Paloschi vale come un problema al cambio sul più bello: non entra la sesta. E sul rettilineo successivo Doumbia esce lanciato dalla curva piscina, mentre il doppiato Reja fa lo scherzo pure a Klose. Roma di nuovo avanti, entrambe col serbatoio vuoto però: Milan e Inter valgono una sosta ai box, nessuno guadagna secondi. All’uscita, la velocità è identica: Gentiletti svetta, Torosidis va col piedone pesante. Mancano due curve, l’ultima può rivelarsi in discesa. Conta solo la penultima, adesso. Garcia ha il vantaggio della pista pulita, Pioli cerca traiettorie alternative. Gomme di nuovo consumate, la Lazio nel frattempo ha pure scontato la penalità Coppa Italia. La differenza ora la farà il pilota: vincerà chi terrà il piede giù, magari anche quando la testa suggerirà il contrario.