rassegna stampa

Gegic si è consegnato: «Le partite di A sono in vendita. E c’è un mister X a manovrare…»

(Gazzetta dello Sport – F. Bianchi/F. Ceniti) – Sul secondo passo, arriva anche la nebbia. Come fosse l’ultimo fedele guardiano del suo rifugio. Ci finiamo dentro dopo aver attraversato mezza Serbia. E boschi fitti con...

Redazione

(Gazzetta dello Sport - F. Bianchi/F. Ceniti) - Sul secondo passo, arriva anche la nebbia. Come fosse l'ultimo fedele guardiano del suo rifugio. Ci finiamo dentro dopo aver attraversato mezza Serbia. E boschi fitti con l'arcobaleno delle foglie d'autunno. E colline ornate di antichi monasteri. I paesaggi dello stupendo film di Milcho Manchewski, «Prima della pioggia». Non c'è più la guerra, anzi qui non c'è mai stata. «Ci hanno protetto i turchi», sussurra Almir Gegic. E' il latitante principe di Scommessopoli, insieme con Hristiyan Ilievski. Ce lo dice mentre in città echeggia la preghiera del muezzin. Siamo nella regione del Sangiaccato: 4 ore e passa d'auto da Belgrado, 20 chilometri dal Kossovo, 70 dalla Bosnia, 40 dal Montenegro. Antico crocevia di carovane per l'Oriente, dominata pure dagli italiani durante la Seconda guerra mondiale. E' un'enclave mussulmana in Serbia. «Anch'io lo sono». Sorride: «Non siamo tutti terroristi, come io non sono uno zingaro. Anche se non ho nulla contro di loro». Nell'inchiesta, si sa, è quello il suo soprannome.

Gegic ci accoglie nel suo rifugio per l'ultima intervista prima di consegnarsi ai magistrati. Ieri. Rewind. Ci sediamo in un bar. «Non è vita questa. Mi nascondo da troppo tempo. L'errore più grave che ho commesso è stato quello di non costituirmi subito. Io volevo farlo, in verità. Ma una volta mi hanno detto di aspettare. Poi mi è stato consigliato dagli avvocati di non farlo. Poi è passato il tempo. Non ce la facevo più. Sono fuori dalla Serbia da 15 anni. Ho vissuto in cinque Paesi diversi, parlo sette lingue. Non mi ci trovo più qui: non ci sono prospettive. Il peggio è che sto distruggendo la vita di mia moglie e soprattutto di mia figlia. Aveva tutto in Svizzera, poteva frequentare un bella scuola e costruirsi un avvenire. Ora chissà se mi faranno tornare a Chiasso. Vivevamo in Svizzera ma era come se fossimo in Italia. Ci sentiamo italiani. Qui le voci arrivano distorte: mi vedono come un mafioso. Ma non ho mai truccato personalmente partite o minacciato qualcuno. Forse le mafie in questa storia sì. Compravo informazioni per scommettere e basta. Sono pronto a pagare. A dire tutto quello che so. Le scommesse sono una brutta malattia. Ho smesso. Per tenerla a bada faccio qualche schedina da 10 euro. Guardo le partite in poltrona. Stop».

Mister X Ci spostiamo al ristorante. Ci raggiungono la moglie e la figlia, 5 anni. Foto di gruppo. Sorrisi, comunque. Adesso, Almir spera di rivederle presto. «Non so che mi succederà, ma sono pronto». Un giorno Bellavista ha detto alla Gazzetta che se avesse parlato, fermavano i campionati. Non l'ha mai fatto. Ora che lei dirà tutto, Gegic, ci sarà il cortocircuito? «No. I magistrati sono stati davvero bravi. Hanno scovato tutte le gare combinate. Almeno, quelle su cui ho scommesso io. Perché le cordate erano tante, mica vendevamo informazioni solo a me e Hristiyan (Ilievski, ndr.). E comunque, è giusto che se ci sono cose che posso aggiungere, le dica ai magistrati». Sì, giusto. Ma insistendo qualcosa di nuovo salta fuori. Salta fuori un mister X che potrebbe anche aprire un nuovo, importante, fronte dell'inchiesta. «Io e Hristiyan abbiamo incontrato un paio di volte un signore sulla sessantina, alto meno di 1,80, un po' sovrappeso. Quasi pelato, ma senza capelli non perché si rade come me. Ce l'ha presentato Bellavista. Aveva più di 10 telefonini. Davvero. Li tirava fuori da tutte le tasche. Usciva spesso a rispondere. Un lavoro. Ci siamo visti all'hotel Tocqueville, quello nel centro di Milano dove vanno i calciatori. Non ricordo il nome, ma se vedo la sua foto lo riconosco di sicuro. Voleva venderci gare combinate di Serie A. Dove erano coinvolte squadre del Sud: Catania, Palermo, Lecce, Napoli, eccetera. Ci diceva: "Andate sul sicuro con me". Ma voleva 600 mila euro per le informazioni. Ci siamo messi a ridere. Troppi».

Siena sì, Conte no Gegic in canna non ha solo mister X. Escono altri dettagli importanti. Come questo: «Carobbio ci ha detto che nello spogliatoio del Siena scommettevano quasi tutti». Ma l'ex di Vicenza, Chiasso e, da ultimo, Rancate, di una cosa è sicuro: non sa nulla a proposito di Antonio Conte, al tempo tecnico dei toscani. «Una tv mi ha persino offerto 5 mila euro per un'intervista se parlavo anche di Conte. Come se le conoscessi. Ho rifiutato. Non ho nulla da dire su di lui: mai visto, mai sentito, mai provato a contattarlo, ma soprattutto non ho bisogno di soldi per parlare di quello che so».

I Cossato, Erodiani e i falsi E allora proviamo ad affondare. Mauri e la Lazio?«Non l'ho mai incontrato. Lo ha fatto Hristiyan? Può darsi, lo dirà al magistrato. Perché anche lui si consegnerà. Io giocavo in quel periodo nel Chiasso, dovevo allenarmi. Hristiyan aveva molti altri contatti, si muoveva anche senza di me. Ho letto di Zamperini: ecco di quel filone so poco come di quello barese. Certo, ero a conoscenza che Masiello e altri erano avvicinabili. E non escludo la presenza di una banda ungherese: il mercato delle scommesse attira molte persone che vogliono fare affari e diversi calciatori non si fanno scrupoli a piazzare le informazioni su più tavoli. Chiedete a Gervasoni». [...]

Dopo tanti propositi, si è fermato da solo. «Dovrebbe costituirsi anche Hristiyan: è stanco come me. Magari avrà la faccia da delinquente, per via della cicatrice, ma non lo è. La storia che minacciavamo la gente è una cazzata. Ora che torno spero si chiarisca tutto. Voglio mettermi alle spalle questa vicenda. Con la giustizia non avevo mai avuto problemi». Su questo, è facile credergli: ci chiedeva consigli su come comportarsi e aveva paura di andare da solo all'aeroporto di Belgrado ed essere arrestato. Invece alla dogana c'erano le carte lasciapassare. E la nebbia si è dissolta.