Il paradosso, in fondo, è che – da addetti ai lavori – alla fine sono tutti d’accordo: il ritiro non serve a nulla. Ma sull’altare di una piazza vogliosa di punizioni esemplari e (cosa non secondaria) di una nuova «governabilità» dello spogliatoio che obiettivamente ha perso certezze, il principio viene sacrificato: la Roma andrà in ritiro. Anche se con una formula nuova: a giorni alterni. Ovvero, sonno nel centro sportivo di Trigoria domani; giovedì dopo cena il «rompete le righe» e venerdì e sabato di nuovo tutti dentro. Morale: l’impressione è che a perderci alla fine sia stato Rudi Garcia.
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Garcia stavolta si arrende: «Roma, ora tutti in ritiro per chiarirci le idee»
Lo zoccolo duro dello spogliatoio ammette un concetto scomodo e che lascia intravedere una spaccatura motivazionale: molti di noi avrebbero più bisogno di qualcuno che ci urli e ci rimproveri invece di assecondarci
VERTICE - L’allenatore francese infatti, dopo la sconfitta di San Siro contro l’Inter, aveva tuonato così: «Non portare la squadra in ritiro è una decisione mia, tutte le decisioni sul gruppo sono mie... Voi potete portare un esempio che funziona, io altri dieci che non funziona». Era il 28 aprile. Appena 14 giorni più tardi, invece, il tecnico è costretto al passo indietro che, tra l’altro, neppure accontenta la tifoseria più dura, che avrebbe voluto mettere il gruppo in clausura quasi più per spirito di vendetta che reale convinzione di efficacia del metodo. Ripetiamo, neppure la dirigenza è convinta che il ritiro paghi.
Ma è difficile dare torto ai vertici che, al netto della prestazione dei calciatori – giudicati unanimemente i primi colpevoli della situazione – vedono come in effetti ci sia uno scollamento fra desideri dell’allenatore e prestazioni della squadra, anche per scelte poco felici dello stesso Garcia. Intendiamoci, Sabatini chiede spesso conto al francese delle decisioni, così come l’opzione ritiro era già in campo al fischio finale della partita col Milan, anche se la prima «punizione» per tanti giocatori è stata quella di privarli della serata nei locali milanesi. Ieri però c’è stato una sorta di «plenum» a cui hanno partecipato il d.g. Baldissoni, Sabatini, il ceo Zanzi e l’uomo di fiducia del presidente Pallotta, Alex Zecca, oltre naturalmente a Garcia. Deciso il ritiro – a singhiozzo perché temono che i giocatori si brucino il cervello fra cellulari, tablet e video giochi – l’allenatore lo ha comunicato alla squadra dicendo: «Può essere utile passare un po’ più tempo insieme» Poi eccezionalmente, mentre la squadra era in sala video, la dirigenza è passata anche a parlare brevemente col gruppo, ribadendo: «Abbiamo piena fiducia in voi».
URLA - La cosa curiosa però è un’altra: lo zoccolo duro dello spogliatoio, quello più di lungo corso, a taccuini chiusi alla fine ammette un concetto scomodo e che lascia intravedere una spaccatura motivazionale: molti di noi avrebbero più bisogno di qualcuno che ci urli e ci rimproveri invece di assecondarci, perché sono tanti qui che avrebbero bisogno di elettrochoc. Invece la filosofia di Trigoria è un’altra: niente pugno duro per i calciatori.
RENZI E LA CHIESA - L’ultimo paradosso di una giornata tutto sommato malinconica è che proprio ieri il premier Renzi ha onorato l’allenatore con una citazione. «Il mister della Roma ha detto una volta: “Abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio”. Ecco, noi abbiamo rimesso la politica al centro del villaggio». Garcia apprezzerà, anche se forse – rispetto a un anno fa – nella geografia di Trigoria adesso proprio lui si ritrova a essere meno centrale di quello che credeva.
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