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La Gazzetta dello Sport

Friedkin, una finale kolossal. Dagli investimenti all’euro-gloria: Dan cerca il bis

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Il presidente punta a fare un altro passo nella storia giallorossa: dopo Tirana, c’è Budapest, con la stessa ambizione
Redazione

Prendere appunti, please. Chi è chiamato a comandare, a volte, preferisce stare un passo indietro piuttosto che un passo avanti,  scrive Massimo Cecchini su La Gazzetta dello Sport. Non è un caso che Dan Friedkin lo avessimo lasciato pochi giorni fa sul red carpet del Festival di Cannes subito alle spalle di Martin Scorsese e del suo cast stellare, nel giorno della prima del nuovo film del regista statunitense, “Killers of the flower moon”. Stasera, invece, presenzierà sobriamente alla seconda finale consecutiva da presidente della Roma, in un atto conclusivo che viene annunciato come il più mediatico della storia dell’Europa League, con 800 “broadcaster” accreditati nel mondo di cui una cinquantina a Budapest. D’altronde Dan Friedkin è stato di parola. Un anno fa infatti, nella cena di gala organizzata dalla Uefa per i vertici delle delegazioni, il presidente giallorosso aveva detto: "È una grande gioia partecipare a una finale. Siamo convinti che la Roma possa crescere ancora e arrivare presto ai massimi livelli". Un concetto analogo a quello espresso anche nel ricevimento di ieri nella capitale ungherese, anche perché a Tirana era stato di buon auspicio, come il trionfo in Conference League aveva dimostrato. Adesso, comunque, ci sarebbe anche una piccola rivincita da assaporare. Il giorno in cui la famiglia statunitense aveva acquistato la Roma - il 6 agosto 2020 - la squadra giallorossa veniva eliminata dal Siviglia con un perentorio 2-0 nel quarto di finale Europa League giocato in partita secca nella coda di quella stravagante stagione indirizzata dalla pandemia di Covid. Insomma, il benvenuto nel Vecchio Continente non fu dei più felici, e proprio per questo - giunti alla seconda finale consecutiva europea in meno di tre anni di gestione - un successo renderebbe dolcissimo alzare la Coppa al cielo. In ogni caso, la nuova proprietà della Roma ha inaugurato un nuovo modo di portare avanti quello che è - e resta - un business, provenendo d’altronde da un universo lontano come quello statunitense. Alle nostre latitudini non eravamo abituati a vedere degli imprenditori iniettare fiumi di denaro in una loro azienda senza cercare neppure un bagliore delle luci della ribalta. In tre anni, le parole che hanno concesso ai media restano quelle del primo giorno: zero o giù di lì. Eppure, se consideriamo anche i 199 milioni spesi per l’acquisto del club, i Friedkin hanno investito circa 750 milioni per la Roma che - a differenza dei loro veri business (automobili, cinema, hotel di lusso) - produce più disavanzi che utili. Poi, però, c’è anche la gloria, se vogliamo anche la storia - minima ma coinvolgente - che il calcio sa scrivere.