C’è un modo per cadere e un modo per dirsi addio. L’incontro andato in scena ieri a Trigoria fra Paulo Fonseca, la proprietà e il general manager Tiago Pinto, in fondo, è stata una maniera per ripristinare dignità e cominciare una "exit strategy", che non si è già tramutata in azione per due motivi fondamentali: l’allenatore non ha dato le dimissioni (il club avrebbe anche agevolato una transazione economica) e la società, da qui a fine stagione, farebbe fatica a trovare un traghettatore che risponda in pieno all’identikit del caso, scrive Massimo Cecchini su La Gazzetta dello Sport. Di sicuro, però, Dan e Ryan Friedkin hanno chiesto spiegazioni stringenti a Fonseca, costringendolo quasi a una sorta di “processo” a porte chiuse, per cercare di capire come mai una squadra che fino a gennaio era in piena zona Champions (e con ambizioni di rivelazione), a maggio corra il rischio di arrivare all’8° posto, il peggiore da quando i magnati statunitensi sono arrivati nelle stanze dei bottoni. Dopo la disfatta di Manchester, dirigenza e proprietà sanno bene che non avrebbe un senso logico cambiare un allenatore a poche partite dalla fine, anche se la scelta di dare un giorno libero alla squadra, ieri, è parsa incomprensibile a tanti. Comunque – detto che, in caso di ulteriori brutte figure, l’esonero potrebbe tornare un’opzione –, almeno si vorrebbe che la Roma giocasse un derby (il 15 maggio) all’altezza delle aspettative dei tifosi, a cui restano ben pochi motivi di soddisfazione. Che Fonseca non abbia mai convinto del tutto la nuova proprietà lo si era capito da un pezzo, ma è innegabile che il portoghese possa lamentare un sostegno pubblico modesto da quando sono cominciate le voci sui suoi possibili successori.
La Gazzetta dello Sport
Fonseca non si dimette. Il “processo” del club finisce solo con un rinvio
Errori, infortuni, mentalità: i Friedkin e Pinto chiedono spiegazioni sul crollo, l’allenatore si difende e rimane
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