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Fonseca: “Vorrei restare tanto a Roma e voglio vincere, ma ora è ingiusto parlare di scudetto”

LaPresse

Il tecnico: "La Juventus favorita per lo scudetto, ma l’Inter è al suo livello. Noi? Coppa Italia ed Europa League dure, però ci proveremo"

Redazione

Per entrare in confidenza con un allenatore di rara intelligenza e disponibilità, scrivono Massimo Cecchini e Andrea Pugliese su La Gazzetta dello Sport, partiamo proprio dal basso. Tanto, a portare in alto il discorso – e anche la Roma – ci penserà poi lui.

Fonseca, è vero che, se vince, non si cambia i calzini? Ride forte. "Sì, è vero. D’altronde tutti gli allenatori hanno delle scaramanzie. Così, quando si vince, è raro che in quella successiva si cambino i vestiti. Anche io sono un po’ così, ma non troppo".

Per onorare una scommessa, quando sconfisse il City si travestì da Zorro. Perché quel personaggio? "Mi è sempre piaciuto, forse perché combatteva le ingiustizie. Io vengo da una famiglia umile, anche se senza difficoltà economiche. Mio padre era un operaio metallurgico, mia madre una domestica, così questo personaggio che aiutava i più deboli e i più vulnerabili mi ha sempre affascinato. In più quando ero bambino era semplice ed economico mascherarsi come lui. Un pezzo di legno diventava una spada, un cappello era quello di Zorro. E poi ho sempre avuto la passione per i cavalli. Lui per me era il cavaliere nero e questo ha acceso la mia fantasia".

Che tipo di calciatore è stato? Si dice che lei non avesse un grande senso dell’umorismo, ma sapesse risolvere i problemi degli altri.

"A me piace ridere e scherzare per creare un ambiente in cui tutti si sentano a proprio agio. Ma proprio per il tipo di educazione che mi hanno dato i miei genitori sono stato il capitano di tutte le squadre in cui ho giocato, perché ho sempre avuto un grande senso di responsabilità. E ne sono orgoglioso. Ma è molto meglio il Fonseca allenatore che quello calciatore…".

Quali erano i suoi modelli quando giocava? "Non lo dico perché sono in Italia, ma il mio mito è stato Paolo Maldini. Mi piacevano pure il brasiliano Ricardo Gomes e il portoghese Fernando Couto".

E i riferimenti da tecnico? "Fino a 26-27 anni non pensavo alla panchina. Poi ho iniziato a vedere le cose diversamente, ero interessato a tutto ciò che facevamo come lavori ed esercitazioni. Ma in Portogallo la svolta è stata Mourinho, il più grande allenatore della nostra storia. Ci siamo parlati poche volte, ma c’è un rapporto di reciproco rispetto. Lui ha segnato una trasformazione, un nuovo modo di concepire gli allenamenti, lui e il professor Vitor Frade sono stati dei riferimenti per allenatori come me, che iniziavano la carriera. Personalmente non ho mai copiato nessuno, ma sono stato influenzato da tutti gli allenatori avuti. Su tutti due: Jean Paul, che nelle giovanili dello Sporting Lisbona ha scoperto Quaresma e Cristiano Ronaldo, e Jorge Jesus, ora al Flamengo".

Lei è arrivato alla Roma in un momento non facile, con la tifoseria in subbuglio per gli addii di De Rossi e Totti. Ha mai pensato che, con loro tutto poteva essere più facile?

"Non ci ho mai pensato, quando mi è stata offerta la Roma non c’erano già più. Sono stati due grandissimi giocatori, è facile immaginare che se fossero qui sarebbero coinvolti nel processo e, vista la loro qualità, aiuterebbero squadra e gruppo a salire di livello. A me piace costruire il gioco dal basso e il miglior De Rossi si sarebbe integrato bene nel nostro gioco. Certo, ora è in età avanzata e non più al 100%, ma al top lo abbiamo apprezzato tutti".

È una difficoltà in più il fatto che parte della tifoseria non ami il presidente Pallotta e che lui non venga a Roma da quasi seicento giorni?

"Io da parte dei tifosi percepisco un calore molto forte, il seguito è impressionante. Sono fantastici. Tutti gli allenatori vorrebbero questo sostegno. È vero che Pallotta non è qui fisicamente, ma s’informa ogni giorno sull’andamento della squadra. E poi oggi il calcio è cambiato, nel mondo ci sono tanti esempi di altri club in cui i presidenti vivono in altri Paesi. Non credo che questo costituisca un problema per la Roma o influenzi il nostro lavoro. Pallotta non c’è, ma si sente".

C’è una trattativa e il possibile arrivo di Dan Friedkin alla guida della società. Pensa che un cambio di proprietà potrebbe essere un problema?

"Si parla molto di questa cosa, ma non influenza né me né la squadra. Non sono il tipo a cui piace immaginare scenari futuri. La gestione del club è affidata a Guido Fienga, che sta facendo un grande lavoro. Mi fido di lui".

Sono divenute celebri le sue chiacchierate al telefono per convincere i giocatori a venire alla Roma:le è capitato che qualcuno le abbia detto di no?

"No, tutti quelli con cui ho parlato sono venuti. Cento per cento. A mio avviso è importante che un calciatore sappia quello che l’allenatore pensa di lui e come pensa d’inserirlo all’interno della squadra. E poi è importante anche per me capire se questo giocatore è motivato a venire qui".

È arrivato nella stagione più aperta degli ultimi anni. Ha l’impressione che con qualche ritocco anche la Roma possa lottare per lo scudetto? "Penso che non sia giusto creare grandi aspettative. Meglio vivere con senso della realtà. Siamo all’inizio di un percorso. C’è un allenatore nuovo, un direttore sportivo nuovo, tanti giocatori sono arrivati e tanti sono andati via. Sono soddisfatto dell’andamento della squadra, ma sarebbe ingiusto creare questa pressione. Non vale la pena fare piani a lungo termine quando la prossima partita è sempre la più difficile. Soprattutto qui in Italia, dove l’ultima in classifica può battere la prima. Comunque, ho la consapevolezza che la Roma stia crescendo".

Il suo primo bilancio sulla Roma e sul calcio italiano? "Molto positivo, sono molto contento della squadra e della Serie A. Certo, il campionato è molto duro. Ci sono squadre e allenatori forti, ogni partita è diversa, ma dà grandi motivazioni. Di natura sono ottimista. E così penso che il 2020 possa essere meglio del 2019".

Ritiene che il nostro calcio sia indietro nella lotta al razzismo e alla discriminazione? "Io sono contro ogni forma di razzismo e penso che insieme si debba sconfiggere questo problema. La Roma è in prima linea in questo senso, ma tutti insieme dobbiamo combattere per sconfiggere ogni possibile discriminazione".

Gli obiettivi della vostra stagione sono mutati?

"No. Il primo resta quello di arrivare tra le prime 4 per andare in Champions. Detto questo non cambio idea: rafforzando questa squadra, credo che entro l’arco della durata del mio contratto (2021 più opzione di un anno, ndr ), si possa vincere qualcosa. Logico, però, che anche ora si giochi per vincere. La Coppa Italia non è facile, ci aspetta il Parma e poi forse la Juve, ma ci proveremo. L’Europa League si è trasformata in una mini-Champions, visto le grandi squadre che ci sono, ma di sicuro non trascureremo questa competizione"-

Lei suona la batteria: lo farebbe in pubblico se la Roma dovesse vincere qualcosa? "Ma non la so suonare bene… Mi è stata regalata due anni fa dal presidente dello Shakhtar e ho provato a dedicarmici con delle lezioni prese da youtube. Ma è dura".

Allora è più facile che si vesta di nuovo da Zorro? "No, è più facile che suoni la batteria piuttosto che mi travesta ancora. Magari farò un pezzo degli U2"

E il campionato invece? "La Juventus è più completa e di conseguenza resta favorita per la vittoria. Ma fino ad oggi l’Inter ha dimostrato di essere al suo livello".

Dal prossimo mercato si aspetta rinforzi? "Gennaio è un mercato difficile. Eventuali rinforzi devono migliorare la rosa, non è facile. Prenderemo qualcuno se ci saranno delle uscite e per alzare il livello. Petagna? Ottimo giocatore, ma non per il mio gioco".

Potendo scegliere, per quale reparto vorrebbe rinforzi: difesa, centrocampo o attacco?

"Forse per tutti e tre".

Caso Florenzi: per via della Nazionale, al posto suo resterebbe o andrebbe via?

"Non devo mettermi nei suoi panni. Lo capisco, ma quello che succede a lui con la Nazionale succede anche ad altri. Sono consapevole di quello che rappresenta per club e tifosi. È un grandissimo professionista, non abbiamo mai avuto problemi, con lui ho un ottimo rapporto. Resta sempre un’opzione tecnica, ma questo vale anche per gli altri giocatori. Io devo pensare solo al bene della Roma. Non posso pensare al fatto se Florenzi giochi o meno in Nazionale, anche se lo comprendo".

Si aspetta che Smalling possa restare?

"Sì, lui è un grandissimo giocatore, che si è adattato molto bene al calcio italiano. Gli piace stare a Roma e il gruppo gli vuole bene".

Della città di Roma ultimamente non si parla molto bene, lei come l’ha trovata?

"Io sono innamorato di Roma e quando si è innamorati si vedono solo gli aspetti positivi, di quelli negativi non ci si accorge. Ai miei occhi la città sembra perfetta, bellissima, nonostante non abbia avuto ancora modo di scoprirla tutta. E mi piacciono i romani. Io amo uscire, passeggiare e la gente è sempre affettuosa. Vivo vicino a San Pietro. Ho sempre pensato di voler abitare in centro per godermi meglio la città. Conoscere la storia di un posto è una cosa importantissima. E sono soddisfatto della scelta».

Sia sincero: pensa di restare a lungo qui?

"I risultati indirizzano sempre la nostra vita, ma oltre che per la città, mi piacerebbe restare in un club che mi fa sentire a casa. La Roma è una delle società più importanti al mondo, vorrei restarci molto tempo".