Il potere logora chi non ce l’ha. E chi ce l’ha, invece, alza il telefono, suggerisce, consiglia, dispone e, se è il caso, ordina.
rassegna stampa
Falcao era dell’Inter. Ma Andreotti alzò il telefono…
Il Senatore, nell’estate del 1983, giocò un ruolo fondamentale per evitare che il Divino si trasferisse all’Inter.
Nel tempo in cui i politici fanno un passo indietro e, recenti parole del premier Matteo Renzi, non si devono permettere d’interferire né tantomeno di scendere in campo, torna in mente una storia di trent’anni fa, quando negli uffici dei ministeri o nelle aule della Camera o del Senato si decidevano anche i trasferimenti dei calciatori.
Tra un dossier sulla crisi petrolifera mondiale e un rapporto riservato dei servizi segreti ovviamente deviati, sulle «onorevoli» scrivanie arrivavano anche le richieste di questo o quel dirigente che magari, più prosaicamente, domandava un intervento, «ci metta una buona parola, se può», per fare un acquisto o per trattenere un giocatore che faceva le bizze.
TRATTATIVA Siamo nel giugno del 1983, la Roma ha appena vinto lo scudetto e rischia di vedersi portare via l’uomo-simbolo, l’ottavo re, Paulo Roberto Falcao. Il brasiliano, dalla casa di Porto Alegre dove si trova in vacanza, parla già da ex: «Lasciare Roma è stato un trauma», dice. Il presidente giallorosso Dino Viola incassa questa dichiarazione con l’abilità di un pugile, sa che tante squadre vogliono il suo gioiello, ma nessuna ha firmato un accordo con la Roma, quindi esiste ancora un margine di manovra. Si parla delle avances del Verona e del Napoli, la telenovela diventa un caso nazionale, ma la verità è che Falcao si è promesso all’Inter. Sandro Mazzola, allora dirigente nerazzurro, ha lavorato nell’ombra assieme a Cristoforo Colombo, procuratore del giocatore, ha fatto firmare il contratto a Falcao e, tutto soddisfatto, lo ha mostrato al presidente Ivanoe Fraizzoli. E’ il colpo dell’anno. Da tenere segreto per qualche giorno, perché non si sa mai, però ormai non ci sono dubbi: Falcao sarà dell’Inter.
INGENUITA' Fraizzoli è un signore d’altri tempi, un gentiluomo, forse troppo ingenuo. Una sera, quando manca ancora l’accordo tra le società, per correttezza alza il telefono e chiama Dino Viola per annunciargli che ha la firma di Falcao. In pratica, tocca a loro due raggiungere l’intesa definitiva. Dall’altra parte del filo, silenzio: Viola prende atto, ma non parla. Fraizzoli capisce che la faccenda si complica e sospetta, anche se lo confessa soltanto alla moglie Renata, che si muoveranno i pezzi grossi per bloccare l’affare.
VATICANO La grande macchina del potere si mette in azione. Scende in campo Giulio Andreotti in persona, tifoso romanista doc come il fedele braccio destro, Franco Evangelisti, cui affida il dossier Falcao. L’ordine è chiaro: «A Fra’, risolvi il problema». Evangelisti studia la situazione, sonda il terreno, capisce che la prima cosa da fare è convincere la mamma del giocatore, la senhora Azise, a restare a Roma. Per raggiungere l’obiettivo, non si fa scrupoli. E così una vicenda di calciomercato sbarca in Vaticano. A mamma Azise, religiosissima, fanno sapere che persino Papa Wojtyla spera che Falcao non lasci la Roma. Lei riferisce tutto al figlio e aggiunge: «Non vorrai mica fare un dispiacere al Santo Padre, eh?». Il trasferimento all’Inter è sempre più in bilico, anche se c’è quel contratto firmato nelle mani di Mazzola e Fraizzoli.
TELEFONATA Evangelisti va dal capo e gli dà un suggerimento: «Giulio, io ho fatto quello che potevo. Adesso devi intervenire tu». Andreotti capisce, alza il telefono, chiama direttamente il presidente Fraizzoli e, così si è saputo in seguito, prima ancora che su Falcao il discorso verte sugli interessi economici dell’imprenditore milanese, su quei capi d’abbigliamento che lui fabbrica e vengono distribuiti anche ai ministeri, «un affare importante, mi dicono». Fraizzoli sbianca in volto, esce dall’ufficio, convoca Mazzola e i più stretti collaboratori e, senza dare una spiegazione, ordina: «Stracciate il contratto di Falcao. Non lo prendiamo più». A Roma esultano e Andreotti, riservato al punto tale che in presenza di testimoni avrebbe perfino negato di chiamarsi Giulio, ammette: «Sì, questa volta mi sono impicciato e ho risolto la faccenda».
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