"Che barba, che noia", recitava Sandra Mondaini, fingendo di battibeccare con suo marito Raimondo Vianello. Impressioni? Nella Roma di Paulo Fonseca non c’è nessuno che possa dire le stesse cose, perché non vengono mai chieste sempre le stesse cose. Fra i segreti del risveglio della squadra giallorossa, infatti, c’è proprio quel trasformismo che l’allenatore portoghese - un po’ per scelta, ma molto anche per necessità - richiede al suo gruppo.
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È la Roma del trasformismo. Fonseca batte l’emergenza
Da Cristante a Miki, in tanti scoprono il fascino della duttilità
I casi più evidenti - sottolinea Massimo Cecchini su 'La Gazzetta dello Sport' - sono quelli di Cristante e Mancini. Il primo è schierato spesso al centro della difesa: davanti a una punta veloce rischia, ma la capacità d’impostare l’azione dal basso - oltre alla sua “leadership” in campo - piace parecchio a Fonseca. Così come il portoghese gradisce la capacità di adattamento mostrata da Mancini a centrocampo nella passata stagione.
In mediana, come si sa, spesso è più una questione di sfumature. Non può sorprendere nessuno, infatti, che uno come Pellegrini possa passare senza problemi dalla posizione di interno davanti alla difesa a quella di trequartista. Discorso analogo quello del baby Villar, regista che col passare del tempo dimostra sempre più la capacità di sapersi muovere anche nelle zolle dei sedici metri.
Discorso diverso per l’attacco: Mkhitaryan si trova a suo agio sulla trequarti, ma quando Fonseca lo ha schierato da falso centravanti, Miki ha risposto con una doppietta in un solo tempo (contro il Genoa). E non è detto che sia finita qui: ad esempio, se Fazio ha un pregresso da centrocampista, lo stesso potrebbe dirsi per Ibanez, cresciuto da regista alla Falcao.
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