Sui primi sette, almeno, siamo tutti d’accordo. Ripassiamoli per i deboli in storia: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Parliamo dei re di Roma, che conclusero la loro epopea nel 509 avanti Cristo. Archiviata la malinconica esperienza ottocentesca di Napoleone II (figlio di Bonaparte), il problema è che ad un certo punto l’interesse per il calcio ha preso il sopravvento sulla politica e così, l’ottavo re dell’Urbe è stato scelto fra i calciatori. Com’è noto, il prescelto è stato Paulo Roberto Falcao – che proprio ieri ha compiuto 61 anni –, assurto a maggior gloria pur non essendo né latino (come i primi quattro) e neppure etrusco, (come gli altri tre), bensì addirittura brasiliano. Ma nella numerazione a quel punto dev’essere successo qualcosa perché – cominciato il regno (questo sì) di Francesco Totti – si è tornati a parlare di «Ottavo Re di Roma».
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Dopo la generazione dei re ora è tempo di repubblica?
Ieri Falcao, oggi Totti. Ma la Roma ha bisogno di una repubblica del pallone, che cambi senza traumi i propri leader sperando ogni volta che il prossimo sia quello migliore di sempre
Insomma, più che una monarchia a quel punto è sembrato che in riva al Tevere fosse nato un consolato, anche se l’estrazione schiettamente romana e la lunghezza del «governo» sta facendo pendere la bilancia dalla parte di Totti. Ma il numero otto, evidentemente, deve essere piaciuto in modo particolare ai commentatori e così è bastato che Garcia centrasse una prima, straordinaria stagione in giallorosso per vedere i titolisti d’Oltralpe (soprattutto) scatenarsi nel classico: «Rudi ottavo re di Roma». Tutto comunque potrebbe essere ricondotto a una semplice curiosità o al massimo alla pigrizia giornalistica, se la vigilia di Juve-Roma non fosse stata illuminata anche da una piccola frase riesumata da un una intervista rilasciata alla Gazzetta nel marzo scorso da Falcao. Eccone l’estratto: «Totti continua a fare la differenza per 40-50 minuti... Tevez è l’unico campione di caratura internazionale della Serie A». Insomma, se non è stato un regicidio, ci è andato abbastanza vicino. Domanda: visto che siamo in Italia, sarà stato un ennesimo caso di conflitto d’interessi, visto che in palio c’è ancora questo benedetto titolo di ottavo re di Roma?
In attesa di scoprirlo, avanziamo una modesta proposta. Poiché siamo convinti che per decenni la Roma avrà campioni in grado di illuminare ogni presente che verrà, archiviamo per sempre la monarchia calcistica nata nel XX secolo e affidiamoci a una consapevole repubblica del pallone, che cambi senza traumi i propri leader sperando ogni volta che il prossimo sia quello migliore di sempre. D’altronde, siamo ancora convinti che Bertold Brecht avesse ragione quando ammoniva: «Felice il Paese che non ha bisogno di eroi». E in fondo, dall’alto del suo Empireo, è probabile che persino Romolo si sia un po’ stancato di questa monarchia che non sa andare oltre il numero otto.
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