Ormai è acclarato come i tifosi di Lazio e Roma abbiano scelto tre modi principali per vivere il match: la tv, i punti di ritrovo comune scelti dagli ultrà (Tor di Quinto e Testaccio) e lo stadio. Ma proprio la disaffezione per la partecipazione più diretta – all’Olimpico difficilmente si arriverà a più di 25.000 spettatori – è il segno dei tempi. Possibile che Lotito e Pallotta, – per motivi diversi – siano fra i presidenti meno amati nella storia dei due club, ma se nel medio periodo i risultati sportivi del quinquennio giallorosso a guida Usa sono stati privi di trofei, la gestione Lotito (in più anni) ha portato a casa 2 Coppe Italia e una Supercoppa. Morale: che lo scudetto dei bilanci in genere al tifoso medio importi poco, non sorprende. Lo fa invece notare la stanchezza diffusa nella voglia di partecipazione, che non sia quella troppo facile del «non mi piace» offerta da radio e social. Il discorso ultrà, naturalmente, fa storia a parte, impastato com’è di voglia di protagonismo e conveniente nostalgia di un passato in cui le curve venivano considerate zona franca. Tutto il resto invece si può discutere: dai controlli all’ingresso doverosamente migliorabili ai prezzi dei biglietti forse non in linea con i tempi. Ma una cosa è certa: se manca la voglia di esserci e di contare davvero, il confine tra passione e sterile autoreferenzialità – nel calcio come in politica – sarà sempre più sottile.
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Derby, Roma scopre la passione solo virtuale
I tifosi di Lazio e Roma abbiano scelto tre modi principali per vivere il match: la tv, i punti di ritrovo comune scelti dagli ultrà (Tor di Quinto e Testaccio) e lo stadio
(M. Cecchini)
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