Un rombo di tuono e poi brividi infiniti. Quelli che servono per aspettare i cento minuti di volo utile per atterrare su un sogno: la possibilità di tornare a vincere un trofeo che manca da 14 anni, senza contare che da 31 mancava da una finale europea, scrive Massimo Cecchini su La Gazzetta dello Sport. La Roma batte il Leicester con un 1-0 santificato dalla rete di Abraham e approda all’ultimo atto di Conference League. Per farlo, il 25 maggio, l’attende la trasferta più breve delle tante che l’hanno sballottata in giro per l’Europa minore per arrivare semplicemente in Albania, a Tirana, dove il moderno stadio da 21.000 posti sarebbe inadatto a ospitare persino i soli tifosi giallorossi. Ma tant’è. La sfida sarà col Feyenoord. L’unico ostacolo che separa José Mourinho, alla sua ottava finale internazionale, da un ennesimo traguardo storico: essere - insieme a Udo Lattek e Giovanni Trapattoni - l’unico allenatore in grado di assicurarsi le tre diverse coppe europee. Tutto questo è reso possibile per la magica serata che la sua Roma ha regalato a un Olimpico tutto esaurito. Davanti a quasi 65.000 spettatori “in campo” - proprio come voleva lo Special One - la squadra giallorossa supera con merito un piccolo Leicester, che saluta l’Europa davanti gli occhi di sir Ranieri.
La Gazzetta dello Sport
Decide Abraham, Olimpico in delirio. Ora il Feyenoord per alzare la Coppa
Basta il gol di testa dell’inglese: il bunker regge, il Leicester è battuto. Mourinho a Tirana si giocherà l’ottavo trofeo internazionale
A premere sull’acceleratore è la Roma, che al 7’ va al tiro su punizione dalla sinistra, su cui Schmeichel devia in angolo. La catena mancina con Zalewski pare subito funzionare, perché il Leicester non si arrocca e prova a giocare, concedendo spazi su cui si avventano i giallorossi, che guadagnano angoli. E visto che le reti su sviluppo da corner sono uno dei marchi di fabbrica della squadra di Mourinho (19 i centri), non sorprende che all’11’, su angolo battuto dal capitano, Abraham giganteggia su Pereira e di testa batte il portiere degli inglesi, sfatando anche il tabù che lo aveva visto, in sette match contro le “foxes” non riuscire mai a trovare il gol. L’Olimpico impazzisce, ma con una eccezione, Mourinho, che comincia a guidare i giallorossi verso la tattica preferita: difesa arcigna e ripartenze taglienti. Quando l’arbitro fischierà la fine del primo tempo, si può dire che lo Special One, abbassando entrambe i “quinti” sulle fasce, abbia avuto ragione. Nella ripresa Rodgers passa al 3-5-2, inserendo Amartey fra i centrali di difesa e Iheanacho a fianco di Vardy. Tutto questo per consentire a Pereira e Justin di spingere con più libertà. A lungo, però, il Leicester è capace solo di accumulare degli angoli, riuscendo ad andare al tiro solo con Dewsbury-Hall a lato. Insomma, se la superiorità territoriale cresce, i pericoli assai meno. Anzi, nella profondità che si crea dietro la linea di difesa delle “foxes” è la Roma che prova infilarsi, anche se spesso è imprecisa nella rifinitura. Alla mezz’ora, però, la stanchezza tira fuori Zaniolo, così Mourinho inserisce Veretout, blindando ancor di più la mediana, proprio mentre Rodgers inserisce anche Perez per dare vivacità a una manovra statica. Solo al 34’ arriva il primo tiro nello specchio degli inglesi. È di Maddison, che sporca i guanti di Rui Patricio, così come fa subito dopo Iheanacho. Poca roba, anche se gli inglesi chiuderanno col 67% di inutile possesso. Il bunker giallorosso regge, visto che solo al 47’ Maddison, dal limite, fa paura ai cuori giallorossi. E allora finisce che, nel controllo palla finale, l’ultimo tiro è di Oliveira, che al 50’ per poco non beffa Schmeichel. Ma non c’è tempo per rammaricarsi. È finita. La Roma, ultima rimasta in corsa, vola in finale e forse, a 12 anni distanza, l’Italia potrebbe tornare su uno dei troni d’Europa. Da Mourinho a Mourinho. E chi pensa sia un caso, si sbaglia.
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