Da capitan futuro a capitan infinito, il volo è stato troppo breve. Per tecnica, intelligenza e senso di appartenenza, Daniele De Rossi avrebbe meritato vent’anni da capitan presente, non i due finali che ha vissuto tra poche gioie e tanti travagli. È stato il leit motiv della sua carriera giallorossa, la presenza costante – e magari in alcuni momenti perfino ingombrante – di capitan Totti. Un fratello maggiore che gli ha fatto da chioccia, finché il ragazzo non è diventato adulto. Daniele, diventato padre da ragazzo, leader da sempre, punto di riferimento in campo di ogni allenatore, che su quello stesso ciglio, per non finire giù, spiega la sua scelta con una pacatezza e una fermezza incredibili, scrive La Gazzetta dello Sport. Mettiamola così: il tifoso romanista ha goduto per un buon quindicennio del privilegio di tifare una squadra con due capitani, entrambi romani e romanisti, profondamente diversi ma ugualmente innamorati. Il dolore è insopportabile anche perché l’arrivederci (vero?) di Daniele riapre la ferita dell’addio di Francesco, ancora troppo fresco. Maledetto tempo, disse Totti. Già, questi due anni sono volati e oltretutto, a parte quella magica, indimenticabile notte del 3-0 al Barcellona, sono state solo amarezze.
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Daniele e Francesco: due destini che si uniscono…
E' stata questa, forse, la vera pietra tombale posata su questa Roma dei Pallotta e dei Baldini, lontani dagli occhi e, soprattutto, dal cuore dei romanisti
Totti è stato la Roma. Anzi, da un certo punto in poi è diventato più grande della stessa Roma, e questa sua grandezza alla fine l’ha pagata, trattato come l’elefante della canzone di Zarrillo, lui il più grande di tutti i tempi. Un gigante tra nani. Da due anni dirigente senza un incarico preciso. A De Rossi, invece, un ruolo operativo lo hanno proposto subito, ma lui ha mangiato la foglia. Ed è stata questa, forse, la vera pietra tombale posata su questa Roma dei Pallotta e dei Baldini, lontani dagli occhi e, soprattutto, dal cuore dei romanisti.
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