Sorride e guarda il giovane connazionale Leandro Castan, quando gli si chiede se qualcuno dei compagni della Roma sembra interessato a seguirlo negli Atleti di Cristo. «Per ora mi riunisco per pregare con lui, fuori siamo come fratelli. Ma appena ci ritroveremo in campo, subito una botta al ginocchio, e subito: “Scusami”». L’altro è Felipe Anderson, che ha passato con lui, e un’altra trentina di sportivi e calciatori – da Hernanes al brasiliano Gabriel, che dopo una stagione deludente al Milan sta trascinando il Carpi in Serie A, fino a giocatori dilettanti – il giorno di Pasqua nella sala conferenze di un hotel milanese. Ma le stelle sono i due brasiliani di Roma, l’uomo che non può giocare da mesi e il ragazzo diventato forse il giocatore più decisivo del campionato. Due storie non facili, raccontate col sorriso, microfono in mano, davanti a tutti, con Nicola Legrottaglie a fare gli onori di casa, e accompagnamento musicale quando richiesto. Ha funzionato: Castan non si era mai aperto in questo modo, sull’operazione al cervello che gli ha fatto buttar via la stagione. La speranza gli è rimasta, a lui e Felipe Anderson, che nel momento migliore della carriera è dovuto tornare in Brasile, perché il padre è stato accusato di duplice omicidio, per una folle corsa con la macchina.
rassegna stampa
Castan-Anderson, il derby della Bibbia: “Paure, malattie, guai familiari: Dio ci ha salvati”
Il difensore giallorosso ha parlato della scoperta del cavernoma e di come l'ha affrontato: "Ho fatto questo intervento proprio per tornare a giocare a pallone"
CASTAN «Tutto è partito da quei giramenti di testa, ci sono voluti due mesi per capire cosa avevo, girando specialisti su specialisti, che per fortuna hanno scartato le cose più brutte. Anche se quando ho preso una brutta influenza, che mi ha fatto perdere 15 chili di peso, la paura mi era presa, di avere qualcosa di più grave di quello che effettivamente era». Non era una cosa da poco, però, anche se nulla di irreparabile: una «alterazione congenita vascolare nel peduncolo cerebellare medio posteriore sinistro, conosciuto con il nome di cavernoma». Da cui «un piccolo edema e di conseguenza un rigonfiamento transitorio», con relativi mal di testa (nome tecnico, «sindrome vertiginosa acuta») dopo Empoli-Roma, seconda di campionato, unica presenza del brasiliano in quella che doveva essere la stagione della conferma, dopo la prima con ombre e luci con Zeman/Andreazzoli e la seconda, maestosa con Garcia in panchina. Un tempo, poi lasciò il posto ad Astori e si ritrovò nel buio: salutò il campo il 13 settembre, entrò in sala operatoria il 3 dicembre, non è ancora tornato. Anche se quattro giorni prima di Pasqua è arrivata un’altra bella notizia: l’ennesimo controllo ha confermato l’ottimo decorso post-operatorio, il calciatore operato al cervello può colpire senza problemi di testa, visto che il lavoro sul tono muscolare lo aveva ripeso da tempo. Non era così scontato, anche se il brasiliano lo ammette solo ora, che è tutto passato. «Dopo l’intervento avevo perso i movimenti del lato sinistro, non sentivo più quella parte del corpo. Ma ora va tutto bene, sto iniziando a correre, e giovedì ho fatto l’ultima risonanza. Ho fatto questo intervento proprio per tornare a giocare a pallone». Se non si fosse operato avrebbe dovuto lasciare il calcio. Ma l’alternativa era un’operazione al cervello. «Quando ho saputo cosa avevo, e cosa rischiavo, ho avuto tre giorni di buio. Un medico mi aveva detto che non avrei più potuto giocare al calcio, e l’operazione mi faceva paura. Alle fine ho deciso per la mia famiglia». E con l’aiuto di Dio. «Lo avevo un po’ abbandonato, quando ero venuto in Italia, l’ho ritrovato nel punto più basso. E ora ogni mese ho un incontro con 30-40 fratelli, tra cui Felipe Anderson».
ANDERSON Un anno fa Felipe era sempre qui, tra i suoi fratelli, Bibbia in mano. Le cose alla Lazio non stavano andando bene. «Vedrete l’anno prossimo», disse agli amici. Dodici mesi dopo, Anderson è ancora a Milano tra gli Atleti di Cristo. Con le mani cerca sempre i versi giusti della Bibbia, ma nei piedi ci sono 9 gol in più. «Pensavo di metterci sei mesi ad abituarmi alla vita e al calcio in Italia, è stato più complicato. Ma ho continuato a lavorare e a pregare: oggi raccolgo i frutti». Eppure quando le cose si stavano mettendo bene, l’arresto del padre in Brasile e un infortunio hanno gettato Felipe nel panico. «Mi sono trovato in casa da solo a piangere. Dovevo giocare due partite importanti, ma volevo vedere mio papà. Poi mi sono anche fatto male. Mi chiedevo perché mi stesse succedendo questo, finché ho aperto la Bibbia, pregato e capito. Sono volato in Brasile, mio padre e mia sorella, che non erano credenti, hanno deciso di battezzarsi». Tornato in Italia, ha ricominciato a fare il fenomeno. Per aspera ad astra, direbbe Lotito. Intanto Anderson sta trascinando la sua Lazio nella rincorsa alla Roma e al secondo posto. «Io ci credo, stiamo facendo bene». E non dimentica chi se l’è passata peggio nell’ultimo periodo. «Avete visto Keita a Cagliari? Ha cambiato la partita». I due sono molto amici, sebbene abbiano stili di vita differenti, almeno leggendo i giornali. Un po’ come il diavolo e l’acqua santa. «Ma no... In passato ha sbagliato, è molto giovane, capita. Ma non è come lo dipingono i media».
LA RIVELAZIONE Media che lo scorso anno di Felipe si occupavano poco: zero gol fatti, ora è a 9, e il campionato non è ancora finito. Qualcosa di più che una rivelazione. «è vero - conclude Castan - ma l'anno prossimo sarà Iturbe a sorprendere tutti, vedrete. Lui e io, ovviamente: torno presto, sto lavorando per esserci già per l'ultima giornata. Ma in ogni caso, l'anno prossimo, puntate su di me: sarò al 100%».
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