È un po’ la sua partita del cuore. La vedrà a casa sua, a Buenos Aires, dove dopo l’avventura da dirigente al Boca Juniors ha sfruttato la pandemia per studiare calcio. E vedere partite, da ogni angolo del globo. Perché alla fine Nicolas Burdisso è fatto così, cerca sempre la perfezione, scrive Andrea Pugliese su "La Gazzetta dello Sport". Poi può trovarla o meno, ma l’importante è esserci vicini. Ecco uno stralcio della sua intervista.
rassegna stampa
Burdisso: “Con Pallotta una mentalità più professionale. Non so se è giusto vendere”
Il doppio ex della sfida: "Roma è un posto unico per fare calcio. Smalling ha creato empatia con la piazza. Zaniolo e Pellegrini? I giocatori forti vanno tenuti o bisogna saperli sostituire"
Stasera c’è Roma-Inter, è un po’ la sua partita: 5 anni in nerazzurro e 5 in giallorosso.
"Direi una partita infinita, vissuta sempre profondamente. All’Inter giocavo le finali contro la Roma, che era anche l’avversario per lo scudetto. Giocavano un calcio bellissimo, noi eravamo più pragmatici. In giallorosso mi si sono rovesciate le carte, era l’Inter la più forte. Ma tra Roma e Inter erano sempre sfide pesanti, c’era sempre qualcosa in ballo".
Già, tante sfide. Quali quelle che l’hanno emozionata?
"Con l’Inter la Supercoppa del 2008: vincemmo all’ultimo rigore con Zanetti, ma nessuno pensava potesse sbagliare Totti. Fu il primo titolo di Mourinho, alla fine ci disse: “Queste sono le più belle: una partita, un titolo». Con la Roma il 2-1 del 2010, in un Olimpico pazzesco. È l’unico scudetto che abbiamo perso, eravamo primi... Gli altri abbiamo sempre rincorso".
Moratti-Sensi, presidenti di un altro calcio.
"Presidenti vecchia maniera: venivano in allenamento, si facevamo sentire, quando serviva ti davano qualche bastonata. C’era un rapporto familiare, a me piaceva. Sono stato legato a tutti e due. Con Moratti, però, era un rapporto speciale, anche quando sono diventato un avversario".
Oggi ci sono Suning e Pallotta, una dimensione internazionale.
"È l’indirizzo dove sta andando il calcio, va accettato. L’Inter ha saputo organizzarsi con Ausilio, uno molto preparato. E poi ci sono Zanetti che è una figura emblematica e Marotta: esperienza e abilità. Pallotta l’ho vissuto fino al 2014 e posso dire che ha portato una mentalità diversa, più professionale. Roma però è una piazza dove devi sempre fare bene. Non lo so se sia giusto vendere. È una scelta difficile, profonda. Ma Roma è un posto unico per fare calcio e questo lui lo sa".
Il futuro di Lautaro: farebbe bene a restare ancora nell’Inter o è pronto per club come Barcellona e City?
"Lui è già pronto per il grande salto, gli argentini hanno un grado di maturità diverso nella capacità di sapersi adattare ai diversi campionati. Anche se io preferirei vederlo ancora nell’Inter e nel calcio italiano. Giocatori forti come lui sono una risorsa per tutti".
La Roma fa bene a insistere per Smalling, anche a costo di un grande investimento?
"Nel calcio non ci sono più giocatori decisivi ma dinamiche che valorizzano i giocatori. E il gioco di Fonseca ha messo in risalto le qualità di Smalling: gestisce la linea difensiva, è rapido e sa giocare con 30-40 metri alle spalle. E ha legato con la città come empatia. A Roma è importante".
Inter e Roma con la difesa a tre, oramai è una moda.
"Penso sia l’unico paese al mondo dove così tante squadre difendono a tre. Fonseca è stato intelligente, ha visto il problema e cambiato, ma senza tradire i principi: l’essere aggressivi, il giocare in verticale e il voler fare sempre la partita".
Zaniolo e Pellegrini vanno tenuti a tutti i costi?
"I giocatori più forti vanno sempre tenuti. Ma a volte vendi qualcuno non perché vuoi, ma perché le dinamiche di mercato ti ci portano. In caso bisogna saperli sostituire. Da d.s. dico sempre: Non fai ciò che vuoi, ma quel che puoi".
Se dovesse esserci una finale di Europa League Inter-Roma per chi tiferebbe?
"Sarei contento per il calcio italiano e per entrambi i club".
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