rassegna stampa

Borriello: “Tradito a Roma. Il mio motore ora è il Genoa”

Dopo un lungo periodo di anonimato in giallorosso, ha scelto Genova per rilanciarsi, con il contratto in scadenza e un futuro da scrivere

Redazione

Il Genoa ha un sogno: l’Europa. I suoi tifosi coltivano una speranza: Borriello, che sia lui fra i protagonisti dell’impresa. Eppure il centravanti, arrivato dalla Roma a fine gennaio, in due mesi ha giocato solo quattro spezzoni di partita, senza realizzare gol. Dopo un lungo periodo di anonimato in giallorosso, ha scelto Genova per rilanciarsi, con il contratto in scadenza e un futuro da scrivere. Cosa cerca? Cosa spera? Cosa vuole dalla sua terza avventura rossoblù?

«Semplice, voglio il Genoa. Ho scelto questa squadra per rilanciarmi. La conosco, ho dovuto fare dei sacrifici, ma so cosa può darmi. Inseguo l’Europa con i miei compagni, la riconferma per me e anche qualcosa in più: questo è un biennio importante, che porta agli Europei, un obiettivo significativo per tutti. Vorrei provarci anch’io».

Però qui sta faticando?

«Ogni squadra ha metodi di allenamento diversi. In questi anni ho sempre fatto vita da professionista, in allenamento e nell’alimentazione. Al Genoa l’inizio è stato duro, ma l’avevo messo in preventivo. Ora il mio fisico si è adattato».

Lei non gioca titolare dal novembre 2013 (Roma-Sassuolo) e non segna dall’ottobre precedente.

«Quel giorno, con il Sassuolo, presi un colpo da Magnanelli. Nessuno l’ha mai saputo, ma ho avuto un “edema della spongiosa”, una microfrattura al perone, dolorosissima... Poi è cambiata la società e sono state fatte scelte diverse. Sono andato al West Ham, rimanendo fuori per un mese e mezzo. Un giorno dissi all’allenatore: ”Vedo Sky anche a Roma, non sono venuto qui per guardare le partite in tv”. Solo la squalifica di Carroll ha permesso a me e a Cole di alternarci in campo: una cosa irritante per entrambi. Accadde poi che nel giorno di riposo andai ad allenarmi da solo. Troppo carico, finii stirato. Al rientro il campionato era alla fine».

Eppure a Roma c’era il problema del centravanti. Cosa passa nella testa di un attaccante che resta fuori?

«Ti fai delle domande, ma la risposta era chiara: la nuova dirigenza aveva fatto scelte diverse. Ricordo che Sabatini alla prima conferenza disse che Borriello era un problema. Sono arrivati Osvaldo, Destro, Borini, Doumbia, e io, senza essere mai stato valutato sul campo, ero sempre la terza o quarta punta. Eppure il primo anno fu eccellente. Ricordo una statistica che diceva che tra Batistuta, Balbo, Völler e Totti io avevo una media gol migliore nei primi sei mesi in giallorosso. Poi via Ranieri, e dentro Montella, con Totti centravanti, lì è iniziato il declino. Già lo scorso anno volevo tornare al Genoa, dove avevo realizzato 12 gol. Ho pure insistito pensando che avrei fatto almeno 15 reti e sarei potuto andare al Mondiale. Però Destro era k.o. e non mi hanno lasciato partire. Quando s’è infortunato Totti ho giocato 8 delle 10 partite vinte consecutivamente, segnando il gol della decima. Una soddisfazione personale».

Quest’anno a Roma neppure un minuto in campo. Perché, allora, questa bocciatura?

«Mi fa piacere che qualcuno noti la cosa. Vorrei avere avuto quantomeno la possibilità di sbagliare, ma tutti sono liberi di fare le loro scelte. Io sono rimasto a Roma anche per far cambiare idea a qualcuno, ma battevo contro un muro».

E rieccola al Genoa. La terza volta in una piazza che la ama da sempre.

«Qui mi conoscono bene. I dirigenti e Gasperini mi hanno voluto, i tifosi mi apprezzano perché in campo ho sempre lottato. Hanno apprezzato più quello che i miei gol. Qualcuno da altre parti mi considera un giocatore finito, «‘na pippa», come dicono a Roma. Sono qui per ripagare la fiducia della società, ma anche e soprattutto per dimostrare a me stesso che... sto ancora sul pezzo. Mi sento bene e considero ancora lontano il momento in cui smetterò. Quel giorno vorrei sentir dire che Borriello era un buon giocatore».

Lei ha accettato di venire qui con il contratto in scadenza, senza altre pretese. Perché?

«A gennaio mi hanno offerto contratti di un anno e mezzo, però sapevo quel che mi serviva, Conosco Gasperini e il suo staff. Mi serviva questo: lavorare duramente, riprendere a faticare. Per recuperare ci vuole sacrificio, gli allenamenti di Gasperini sono molto duri. Ho in più la spinta dei tifosi che mi hanno sempre voluto bene».

L’etichetta di «bello e dannato» ha condizionato la sua carriera?

«Ci ho fatto l’abitudine, da giovane ci soffrivo, ma i luoghi comuni e l’invidia ci saranno sempre, così come le chiacchiere della gente. L’unico modo per smentire tutto è il campo. Purtroppo ultimamente non ne ho avuto l’opportunità. Ma c’è solo una cosa certa: giocando da titolare, in doppia cifra sono sempre andato».

Ora i suoi gol servirebbero per conquistare l’Europa.

«Ci crediamo, eccome. Ci attendono tre partite in casa con avversari alla nostra portata. Saranno difficilissime, ma siamo pronti. Arriviamo da due passi falsi, però il Ferraris è una carta a favore. Contro l’Udinese ho già fatto dieci gol. Ricordo soprattutto le due triplette nel 2008».

Nella sua situazione, vorrebbe spaccare il mondo. Come gestisce la situazione?

«Invecchiare ha dei vantaggi: esperienza e saggezza le ho acquisite pure io. So cosa devo fare in campo. Ho ritrovato l’entusiasmo di allenarmi per un obiettivo. Non mi spinge la rabbia, ma un sentimento positivo».

La panchina è un problema?

«No. Nessuno mi ha detto che avrei avuto il posto assicurato, figurarsi con un allenatore come Gasperini. Per raggiungere l’obiettivo serve tanto sacrificio. Lavoriamo con il gps, si coprono dagli 8 ai 12 chilometri ad allenamento, ad alta intensità, sempre. Il mister sa che sono pronto. Guai a mollare, ma Gasperini è una garanzia».