Nettuno, il mare e sullo sfondo l’orizzonte. Tutto è cominciato lì, dove in molti sognano ad occhi aperti e qualcuno si perde. Non Bruno Conti, che da lì è partito per un viaggio in prima classe, anche se il via è stato con un regionale preso al volo. Ma poi Bruno la vita se l’è costruita da solo, proprio come gli hanno insegnato papà Andrea e mamma Santina, sette figli in tutto. E oggi, a 60 anni, quei valori lì li sente ancora più suoi. Ancora di più di quanto li ha trasferiti ad Andrea e Daniele, i figli.
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Auguri “Marazico”, mago con la sfera
Oggi Bruno Conti festeggia i suoi primi 60 anni: "quello che ho visto fare a Totti fuori dal campo non lo ha fatto nessuno. Ago era un leader, ci metteva la faccia. Come il Principe. Ma Checco è speciale, un fenomeno"
Come sono stati i primi 60 anni?
«Unici. Con un sogno, il mio. Da piccolo d’inverno giocavo a calcio e d’estate a baseball. Adoravo Alfredo Lauri, un lanciatore del Nettuno. Al Santa Monica mi volevano. Ma il calcio mi ha permesso di rendere felice mio padre, tifosissimo giallorosso. Una gioia. Proprio come mia moglie Laura».
La famiglia, quel tesoro che l’ha accompagnata per tutta la vita.
«Ho cercato di trasmettere a Daniele ed Andrea i valori di mio padre, uno che si spaccava la schiena. E vedere che loro sono così legati, anche se vivono lontani (uno a Cagliari, l’altro in Svizzera, ndr), mi apre il cuore. Loro, le nuore e i 5 nipotini:la gioia più bella. La lettera a Daniele? Era per quell’abbraccio a Manuel, suo figlio, un gesto che racconta la nostra storia. Oggi non è facile, manca umiltà e rispetto. Vedere come sono cresciuti mi fa stare sereno».
Simoni, Liedholm, Eriksson, Radice e Bianchi, i suoi tecnici: cosa prenderebbe da ognuno di loro?
«Dal Barone tutto: la cultura del lavoro, i rapporti e il dialogo. Di Radice il carattere incredibile. Eriksson era garbato, timido, anche se con lui ho avuto qualche problemino. Di Bianchi niente per tanti motivi. E Simoni mi ha valorizzato: stupendo, un padre di famiglia».
Quell’umanità che ha trasmesso ai suoi ragazzi. Lo sa che ne viene fuori una squadra da Europa?
«Mi fa felice il rapporto: in questi giorni sono arrivati gli auguri di Okaka, Romagnoli, Viviani e altri. Oggi i ragazzi hanno tutto fin da piccoli, ma ai miei ho cercato di far capire cos’è la gavetta. Per arrivare devi essere bravo, ma devi conoscere educazione e sacrificio».
Lei per tutti era Marazico. Ma si sentiva più Maradona o Zico?
«Più Maradona. Quando giocavamo contro mi diceva: “Vieni a Napoli, insieme vinciamo tutto”. Un mostro, anche se pure Zico... Ma si esagerò con quel soprannome. Mi fecero uno striscione gli amici di Nettuno al Mondiale: “Per il mondo sei Bruno Conti, per Nettuno Marazico”. Che gioia».
Più dolci le lacrime per il Mondiale o più amare quelle per la Coppa Campioni?
«La Nazionale è già gioia, vincere un Mondiale con una persona come Pertini fu fantastico. Il Liverpool una mazzata incredibile, il rimpianto di 60 anni».
Anzalone, Viola, Ciarrapico, i Sensi. Che le viene in mente?
«I miei presidenti, ma Ciarrapico lo tolgo. Anzalone mi aprì la carriera con il cuore in mano. Poi il grandissimo Dino Viola, indimenticabile. Al di là dei rapporti avuti con i Sensi».
Ha vissuto tre grandi capitani: Di Bartolomei, Giannini e Totti. Chi è stato il più umano?
«Monumenti ed esempi di amore, ma quello che ho visto fare a Totti fuori dal campo non lo ha fatto nessuno. Ago era un leader, ci metteva la faccia. Come il Principe. Ma Checco è speciale, un fenomeno».
Nascerà un altro Bruno Conti?
«Per come ha fatto divertire la gente mi auguro di sì».
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