La Gazzeta dello Sport

Andreazzoli: “I miei ragazzi sfideranno la Roma con la fiducia di batterla”

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Il tecnico dell'Empoli: "Io alla Roma con Totti e De Rossi mi sono trovato benissimo"

Redazione

Al momento dei saluti, dopo un’interessantissima chiacchierata di due ore, rileggiamo ad Aurelio Andreazzoli una sua vecchia frase: "Nel calcio certe volte si viene ricordati più per le stupidaggini che per le cose serie". La risposta alla conseguente curiosità - ossia per cosa vorrebbe essere ricordato lui - è il meraviglioso compendio della passione e della mentalità di quest’uomo gentile, disponibile e preparato, scrive Gina Battista Olivero che lo ha intervistato per La Gazzetta dello Sport: "Vorrei essere ricordato per aver regalato qualche emozione e per aver lasciato una traccia. Io posso anche salvare l’Empoli, ma che lavoro ho fatto se non ho trasmesso emozioni ai tifosi e agli stessi giocatori?". Andreazzoli, come nasce un Empoli così bello? "Mettendo insieme tutte le componenti: la filosofia del club, il lavoro dell’ottimo ds Accardi, l’attenta scelta dei calciatori, la cura dei giovani. E poi c’è il campo, che è l’ultima cosa". Quali sono i principi irrinunciabili del suo gioco? "Appeso nel mio ufficio c’è un post-it con i cinque principi della fase di possesso (scaglionamento offensivo, penetrazione, ampiezza, mobilità, imprevedibilità) e i cinque della fase di non possesso (scaglionamento difensivo, azione ritardatrice, concentrazione, controllo e limitazione, equilibrio). Ma non mi sono inventato nulla: li ho imparati a Coverciano. La teoria del corso allenatori è imprescindibile. È come il greco per gli studenti del Liceo Classico: te lo porti sempre dentro. Il calcio è una materia molto complessa che necessita di teoria. Il gioco va dietro allo sviluppo dei principi. Il post-it mi aiuta a interrogarmi: magari uno degli aspetti ha bisogno di un ripasso. Sa come chiamiamo quel post-it? La Bibbia. In campo ti puoi adattare alle situazioni, ma senza rinunciare ai principi. I giocatori hanno un copione da seguire e anche la libertà di interpretarlo esprimendo le proprie caratteristiche: una libertà condizionata...". La personalità dell’Empoli dipende dalle certezze che dà il gioco? "Esatto. I giocatori non dimenticheranno mai il modo in cui hanno vinto in casa di Juve e Napoli. E così sfideranno la Roma con la fiducia di batterla". Lei ha allenato Totti e De Rossi. Vero o falso che un maestro di calcio farebbe fatica in un grande club perché i campioni storcerebbero il naso? "Falso. Io con Totti e De Rossi mi sono trovato benissimo. Dipende da che persona sei: i ragazzi ti inquadrano in fretta. Prima di essere un allenatore, io sono un uomo con i miei comportamenti e la mia sensibilità. Il rapporto con la squadra è come quello con i figli, solo che nello spogliatoio sono venticinque. Serve sempre un indice di attenzione altissimo. E sa qual è la principale difficoltà di questo lavoro? Far sentire la mia squadra più forte di quello che è". Perché dell’esperienza con la Roma viene ricordata solo la finale di coppa Italia e non tutto il resto, come la vittoria sulla Juve e la rimonta in classifica? "Perché il mondo del calcio spesso manda messaggi superficiali per arrivare alla pancia del tifoso. Un giudizio oggettivo dipende dalla voglia di trasmettere la curiosità, le difficoltà, le bellezze. A Roma passai da inadeguato a fenomeno e poi di nuovo a inadeguato: non ci restai male perché do peso solo al giudizio di chi mi conosce".