Pedro è un tipo umile, silenzioso, con un gran sorriso e le qualità necessarie per essere un gregario campione del mondo, un tipo che muovendosi in seconda fila nella vita ha vinto due “tripeletes” e 25 titoli, riporta Filippo Maria Ricci su La Gazzetta dello Sport. Silenzioso, col suo marcato accento canario e i piedi piantati per terra. Così gli ha insegnato suo padre, baffuto gestore di una pompa di benzina a Los Olivos, Tenerife, e orgoglioso uomo di campagna, col suo orto e le sue galline.
rassegna stampa
Amato dagli allenatori e nello spogliatoio: la storia di Pedrito che vinse ogni trofeo
Dalla cantera blaugrana al Chelsea, venticinque trofei dopo, lo spagnolo non ha perso la fame
Guardiola adorava Pedro. L’aveva avuto con sé in quel 2008 al Barça B in Tercera, e mentre stavano per cederlo al Portuense, società modesta che non ha nulla a che vedere al quartiere romano, l’allenatore che ha cambiato la storia del Barça s’impuntò, fece saltare il trasferimento e se lo portò, insieme a Sergio Busquets, in prima squadra per la corsa verso il “triplete” e poi il volo al “sextete” del 2009. Dopo anni di successi lo vendettero al Chelsea, e dopo 5 anni è ancora lì. A volte titolare, a volte no, sempre importante. Pedro è arrivato tardi alla cantera blaugrana, a 17 anni suonati, ma ci ha messo molto poco a diventare l’unico giocatore al mondo in grado di segnare, spesso gol pesanti, in 6 competizioni differenti in un anno solare, il 2009. A luglio compie 33 anni. No, non è più il giovane “extremo” che a destra o a sinistra saltava uomini e batteva portieri, però 25 trofei dopo Pedro è sempre un vincente, non ha perso la fame. E nemmeno il sorriso: è rimasto uno al quale nello spogliatoio vogliono tutti bene.
© RIPRODUZIONE RISERVATA