Quindici anni dopo era quindici anni fa. Il 2 novembre 2004 – Antonio avrebbe compiuto 34 anni – Esperia ci aprì la porta del suo appartamento, al quarto piano di una palazzina al civico 82 di via di Torre Maura. Una casa dignitosa, piena di cose, innanzitutto di dolore, scrive Alessandro Catapano su "La Gazzetta dello Sport". L’ha divisa fino all’ultimo con Anna, la figlia che le è rimasta accanto, sempre, da quella maledetta domenica del 1989. Esperia ha aspettato trent’anni per riabbracciare quel figlio strappato alla vita da una violenza brutale e insensata. Trent’anni, ha aspettato. Senza avere giustizia, senza darsi pace, nemmeno una spiegazione. Quindici anni dopo, continuava a ripetere, come una litania: "Perché me l’hanno ammazzato?". Ha aspettato che tornasse, ogni giorno, per i trent’anni che ha sopportato di vivere senza di lui. E tutto, nella sua cameretta lunga e stretta, è rimasto esattamente dov’era quando Antonio è uscito di casa, all’alba del 4 giugno 1989, direzione San Siro, per andare a vedere la sua Roma. I poster, le foto, la maglia di Sebino, le sciarpe, il motorino coperto dalla bandiera, il cuore giallorosso. Il cuore che gli scoppiò a diciotto anni, dopo che il corpo aveva subito i pugni, i calci, le cintate. Di Antonio, della sua storia drammatica e penosa, si sono dimenticati in tanti. Non i tifosi della Roma, che ne hanno fatto un vessillo, da mostrare e sventolare in tutti gli stadi del mondo. Antonio vive nel cuore e negli occhi di ogni romanista, e nei nostri occhi vivranno per sempre l’incontro di mamma Esperia con Aquilani, la corsa di De Rossi a Siena verso il suo striscione, i trenta volti di Antonio in quella commovente scenografia allestita dalla Sud qualche mese fa, trent’anni dopo.
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Addio Esperia, la mamma di De Falchi trent’anni dopo è volata dal suo Antonio
Venerdì sera l'annuncio del figlio, ucciso nel 1989 mentre andava a vedere la Roma a San Siro
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