rassegna stampa

Una scossetta e l’ippodromo viene giù

Un sisma di «forte intensità» potrebbe causare danni irreparabili alla tribuna di Lafuente

Redazione

C’è un rischio ben più vincolante che incombe sull’ex Ippodromo di Tor di Valle, al posto del quale dovrebbe sorgere il nuovo stadio della Roma. Più “condizionante” del veto che la Soprintendenza sta predisponendo in extremis per tentare di salvare la struttura, ormai vecchia di quasi sessanta anni. Un terremoto. Proprio così, un sisma di «forte intensità» che potrebbe causare danni irreparabili all’«edificio audacissimo con lo sbalzo maggiore mai realizzato in un’opera di cemento armato», così come lo ha definito la stessa sovrintendente Margherita Eichberg, firmataria della proposta di vincolo che ha bloccato per altri 120 giorni il sogno giallorosso.

L’area di Tor di Valle fa parte del territorio del IX Municipio della Capitale (ex XII), a sua volta ricadente nella «zona sismica 2B», individuata in un’Ordinanza del presidente del Consiglio dei Ministri nel 2003. Le tabelle sono state poi aggiornate nel 2009 da una Delibera della Giunta regionale del Lazio che ha dichiarato la «2B» come «zona con pericolosità sismica media dove possono verificarsi forti terremoti» e dove «l’accelerazione orizzontale massima» potrebbe raggiungere valori tali da non lasciare scampo all’ardita pensilina voluta alla fine degli anni Cinquanta dall’architetto Julio Lafuente per coprire le tribune dell’ormai ex tempio romano delle gare di trotto.

Lo «sbalzo» della pensilina, oltre venti metri, potrebbe non avere scampo, soprattutto in caso di sisma ad “azione sussultoria”, ossia dal basso verso l’alto. Uno scenario complicato ancora di più dalla tipologia del terreno, alluvionale, creato dai depositi del Tevere. L’ipotesi di vincolo della Soprintendenza, davanti alle più recenti normative in tema di rischio sismico, appare più audace perfino dello «sbalzo» realizzato dall’ingegner Gaetano Rebecchini in vista delle Olimpiadi del ’60. Le attuali norme sismiche non prevederebbero, per strutture comela tribuna dell’ippodromo, una seconda chance. Leggi che nessun vincolo e nessuna soprintendenza possono superare, perché l’incolumità pubblica vince su tutto. Le pensiline a sbalzo sono, tra l’altro, come ricorda la cronaca, tra le strutture più a rischio. Basti pensare ai crolli che si verificarono nel 2012 in Ciociaria in due impianti sportivi, a Frosinone e a Ceccano. Entrambi i cedimenti furono causati dallo stesso evento eccezionale, un’abbondante nevicata che accumulò sulle pensiline delle tribune un metro di neve, caricando le strutture di circa un quintale al metro quadrato. A Roma, si sa, la neve non cade copiosa.

Oggi più che mai, però, con tre forti terremoti che hanno colpito il centro Italia in pochi mesi, le tabelle del«rischio» invitano privati e istituzioni a muoversi con la maggiore cautela possibile a tutela dell’incolumità pubblica, prima ancora di lanciare singolari «operazioni di salvaguardia culturale» come quella del cosiddetto «vincolo Flaminio», ipotizzato dalla Soprintendenza per Tor di Valle. E sarà un caso che l’ippodromo sia stato realizzato in vista dei Giochi olimpici del ’60 insieme ad altre due grandi opere dichiarate poi «a rischio per la sicurezza»: il velodromo e lo stadio Flaminio. Il primo, oggi abbattutto e pericolante dal 2007, quando fu ispezionato. Problematiche simili hanno interessato l’ex stadio della Capitale, pericolante in alcune sue parti ma, così come l’ippodromo di Tor di Valle, unico nel suo genere per via del disegno dell’architetto Pier Luigi Nervi e su cui oggi “pesa” un vincolo della Soprintendenza che lo ha di fatto condannato all’abbandono. Se si scoprisse che sulle tribune dell’ex ippodromo pende una pensilina pericolante, la Soprintendenza porterebbe ancora avanti l’ipotesi di apporre un vincolo sulla struttura con il rischio di abbandonarla al suo destino? Metterebbe addirittura a rischio futuri «fruitori» se per caso si venisse a scoprire che all’epoca, forse per finire in fretta, lo «sbalzo» non fu collaudato come già previsto da un regio decreto del 1939? Solo ipotesi, sia chiaro. Dubbi che di certo la Soprintendenza non si è posta.

(M. Vincenzoni)