Una buonaRoma (probabilmente la migliore dell’ultimo mese) non basta. Non basta per pensare di poter giocare la Champions del prossimo anno, per restare al secondo posto in classifica, tantomeno per vincere la terza partita di seguito per 1-0 (di più oggettivamente non è immaginabile al momento). Perché non serve a molto tenere palla, creare, costruire anche buone trame di gioco se poi non c’è chi finalizza: in questo sport vince chi fa un gol più dell’avversario. Sembra scontato, ma dopo aver visto la Roma delle ultime uscite non lo è poi così tanto.
rassegna stampa
La Roma si fa male da sola
Il pareggio col Torino costa il secondo posto. Non basta il rigore di Florenzi Distrazione fatale sull’1-1, poi troppi errori sotto porta tra sprechi e sfortuna
L’amaro 1-1 piovuto dall’Olimpico di Torino non fa che conclamare un problema noto alla Roma e i suoi tifosi: la difficoltà nell’andare a segno, e soprattutto nel farlo con gli attaccanti. Anche ieri, gol procacciato da un lavoro in area di De Rossi e realizzato dal dischetto da Florenzi che Garcia continua ruotare in tutti i ruoli e attaccante vero di certo non è. Il tridente con il quale la squadra ha chiuso la partita non di quelli con i quali ti puoi presentare ai nastri di partenza per cercare di vincere qualcosa. Ibarbo-Iturbe-Doumbia, costo totale 55 milioni se l’ex Cagliari verrà riscattato, gol realizzati in tre al momento? Uno.
Fin qui i giallorossi erano rimasti a galla grazie soprattutto alla solidità di una difesa che aveva più o meno tenuto. Anche ieri aveva concesso pochissimo, ma nell’unico episodio «vero» si è fatta infilzare in maniera imbarazzante (e da Maxi Lopez: mai l’espressione «cornuti e mazziati» fu più appropriata) su un pallone che era morto (rianimato da Peres l’uomo sul quale Sabatini punta per il futuro: altra coincidenza maledetta) e sul quale la retroguardia di Garcia ha dimostrato tutta la sua superficialità. Palla dentro, palla fuori, conta poco: lì Holebas che l’ha battezzata «finita» doveva seguirla e chiuderla in angolo: punto.
Poi è vero, la Roma è anche sfortunata in questo periodo, non gliene va dritta una, ma non può e non deve essere un alibi per nessuno: tanto meno per i giocatori chiamati da qui in avanti a dare tutto per riscattare la delusione dei tifosi che ieri si sono visti sorpassare dalla Lazio (altri budget, altri obiettivi eppure un punto sopra). Ma anche per centrare quello che era e resta l’unico obiettivo stagione: giocare la Champions del prossimo anno entrando dalla porta principale (che inciderà anche sulle vacanze dei romanisti perché il preliminare ad agosto è una iattura che tutti vogliono evitare).
Con l’1-1 di ieri, dopo venti mesi, la Roma esce dalle prime due posizione di testa. Restano otto partite, tra le quali il derby che, vista la stagione, è tornato a contare qualcosa, anche perché la Lazio è diventata l’avversaria da battere per la Champions. Otto partite al termine delle quali, classifica a parte, la Roma dovrà tirare una linea e decidere chi sta dentro e chi fuori: perché è chiaro come quest’anno più che mai, soprattutto in prospettiva, bisognerà dividere gli uomini dalle mezze calzette. I conti, come sempre, si faranno alla fine.
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