rassegna stampa

Quando il calcio è vietato

Guerre e politica fermano lo sport. Talenti in fuga dall’Ucraina In Africa tornei bloccati e Coppa a rischio per l’allarme ebola

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Il calcio a un pallone. E la palla non rotola più, bloccata dai conflitti politici, dagli integralismi, dalle lotte di religione, dalle divisioni etniche, dalle epidemie. L’episodio di martedì sera a Belgrado si trascina dietro spaccature e frustrazioni secolari, ammantate da un nazionalismo obsoleto. La battaglia andata in scena allo stadio del Partizan è un campanello d’allarme che a livello politico non va sottovalutato.

Così come non andrebbe sottovalutata l’accoglienza ricevuta dai giocatori albanesi al rientro in patria. Nel 1990 avvenne una cosa analoga nella sfida tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa; pochi mesi dopo il rumore dei mortai sostituì quello del pallone, in un attimo lo stadio divenne un ospedale da campo, e l’odore di morte prese il sopravvento sul profumo dell’erba.

Al Mondiale messicano del 1986, l’Argentina di Maradona si prese la rivincita sull’Inghilterra dopo la guerra delle Malvinas vinta dai sudditi della Regina. Anche quella non fu una semplice partita di calcio: Maradona affondò le portaerei della Thacher con la «Mano de Dios». Nel recente passato - siamo nel 2012 - a Port Said, in Egitto, si consumò una vera a propria strage con 73 morti e quasi mille feriti in seguito agli scontri tra sostenitori dei Fratelli Musulmani e quelli dell'allora presidente Mubarak. Si giocava la sfida tra El Ahly e Al Masry. L’invasione di campo dei sostenitori del Masry accese la miccia che portò a conseguenze drammatiche.

Da allora la situazione generale non è migliorata: tanti, troppi i campionati sospesi, cancellati, aboliti. In Ucraina si gioca un torneo anomalo; la minaccia di Putin ha spinto alcuni calciatori dello Shakthar a chiedere asilo politico in altri Stati - in altri club - mentre diverse squadre sono costrette a disputare le loro partite a centinaia di chilometri di distanza dalla città di appartenenza per evitare le zone calde, dove il rumore dei mortai rimbomba anche tra le tribune dello stadio. Non si gioca a Gerusalemme, né in Israele, stessa situazione di stallo in Libia.

Nell’Africa occidentale la situazione è drammatica anche e soprattutto per via dell’ebola: il contagio si diffonde rapidamente, gli stadi potrebbero trasformarsi in centri di diffusione dell’epidemia. I campionati della Sierra Leone e della Liberia sono bloccati, in dubbio l’organizzazione della Coppa d’Africa in programma fra pochi mesi in Marocco: il paese ospitante ha già chiesto il rinvio della manifestazione per i timori legati alla peste del terzo millennio. In tanti Paesi il pallone continua a rotolare. Si gioca in Siria, Libano e Iraq. Si va avanti nello Yemen, si potrebbe giocare in Egitto dove il campionato dovrebbe ripartire a metà dicembre: paesi dove il calcio unicamente strumento propagandistico, dove l’oppio dei popoli continua a narcotizzare le masse a vantaggio dei dittatori. Accadde anche in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale: panem e circenses, da duemila anni la strategia è sempre la stessa. E intanto il mondo fa la guerra.