Non per farci del male, ma se dobbiamo doverosamente incazzarci una volta in più, dopo la deprimente disfatta della nostra nazionale di calcio, non possiamo non ricordare che un mondiale l'Italia l'aveva già vinto ancor prima di partire per il Brasile: quello della più lussuosa, pretenziosa, superflua e costosa sistemazione alberghiera per Prandelli, i suoi ventitré cosiddetti atleti, con familiari annessi, e il folto seguito.
rassegna stampa
Prandelli vince il Mondiale degli sprechi
Gli azzurri, tra le 32 nazionali partecipanti, sono quelli che hanno speso di più per l'alloggio in Brasile.
Costo sui 900mila euro circa per essere comodamente ospitati nel Portobello Resort & Safari di Mangaratiba, inaccessibile per l'occasione ad altri clienti, affittato in esclusiva alla Federazione italiana dal 12 giugno al 13 luglio, il giorno della finalissima, restata nei sogni impossibili di tutti gli italiani. Nessuna delegazione delle 32 partecipanti al Mondiale è stata capace di spendere tanto. Ma si sa, noi non ci facciamo guardare dietro, come dicono a Roma.
Quella pattuglia di pallidi pedatori che sono riusciti a farsi infilzare da due ectoplasma calcistici come Costa Rica e Uruguay, hanno avuto a disposizione a Mangaratiba 3.000 ettari di area safari con campi e piscine, un chilometro di spiaggia bianchissima e 152 camere lussuose che affacciano sull'oceano. I due campi di calcio interni sono stati costruiti secondo lo standard Fifa. Otto piccole auto elettriche erano a disposizione dei calciatori per trasportarli fino ai manti erbosi. Per i lunghi spostamenti la delegazione italiana aveva a disposizione la base aerea militare di Santa Cruz, a mezzora dal ritiro. Nel Safari park del Portobello si aggirano in libertà 500 animali tipici non solo del Sudamerica sparsi su un'area di 300 chilometri quadrati, percorribili a bordo di una batteria di lucide Land Rover, a disposizione degli ospiti e soprattutto di mogli, fidanzate compagne e prole dei nostri mancati eroi.
La delegazione italiana aveva anche chiesto lo spostamento di una scuderia ippica con 70 cavalli, perché troppo vicina ai campi di allenamento. Ordinati per ogni seduta 80 asciugamani bianchi giganti, adeguato il fitness center alle necessità dei giocatori, con l'installazione di sei docce supplementari e la costruzione di due piscine per bambini, oltre a un centro per crioterapia, trattamento terapeutico che utilizza le basse temperature.
La vacanza è finita anzitempo, come sappiamo, ma la sommaria descrizione del luogo che ha ospitato la nostra nazionale andava fatta, perché essa è la metafora di quella filosofia da paese di Bengodi che ha poi portato al disastro in cui versa il sistema Italia: prima spendere, persino in eccesso, poi si vedrà, mai prima raggiungere il risultato, poi raccogliere il premio adeguato alle mete conquistate. In questa filosofia non può non essere incluso il lauto stipendio di Cesare Prandelli.
Con una logica molto difficile da spiegare, ancor prima di partire per il Brasile, la Federazione aveva rinnovato per altri due anni, fino ai campionati europei del 2016, il contratto del commissario tecnico: tre milioni lordi di euro l'anno, poco più di un milione e mezzo netto, che sono più del quadruplo dei 239mila euro che costituiscono l'appannaggio del nostro presidente della Repubblica. Nessuna clausola sospensiva, tipo il rinnovo non sarebbe stato valido se la trasferta in Brasile si fosse rivelata disastrosa, come poi è stato. Perciò, se apprezzabili sono le dimissioni di Prandelli in un Paese in cui nessuno lascia la poltrona neppure sotto la minaccia delle armi, ci è apparsa molto stonata la sua esibizione quando l'ha buttata in politica, lamentando che la Federazione e lui stesso fossero stati omologati a un partito, quindi destinatari di aggressioni verbali e al centro di feroci polemiche sui compensi percepiti, polemiche e attacchi per il commissario tecnico incomprensibili.
Ancora più sgradevole il riferimento alle tasse pagate. Ci mancherebbe che non fosse così. Prandelli non è l'idraulico che ripara il rubinetto di casa e poi chiede di essere pagato in nero, è un signore con qualità tutte da dimostrare, visto che nella sua carriera non ha ancora vinto niente di veramente importante, profumatamente pagato dalla Federazione Italiana Gioco Calcio con i soldi che le vengono versati dall'ente pubblico Coni, quindi con i soldi di tutti noi. Consentirà agli italiani che di fatto lo retribuiscono, che arrancano nella crisi e non arrivano alla fine del mese, di lamentarsi per uno stipendio eccessivo e neppure giustificato dai risultati raggiunti. Perché Prandelli è egli stesso fra i commissari tecnici un primatista dello stipendio, anche se solo medaglia di bronzo, dopo l'italiano Capello e l'inglese Hodgson.
Il primo, allenatore della Russia che pure rischia di lasciare il Mondiale, supera gli otto milioni di euro l'anno. Al secondo posto del podio dorato Roy Hodgson con 4 milioni, mentre Prandelli, fino a ieri con la Figc fino al 2016, si fermava a tre milioni di euro lordi a stagione. Il più «povero» è l'esuberante coach del Messico, Miguel Herrera, che porta a casa 155mila euro.Per Capello non è una novità essere il commissario tecnico più pagato al mondo, se è vero che già nel suo precedente incarico con l'Inghilterra percepiva circa 6 milioni di sterline a stagione, ma il tecnico italiano è riuscito a strappare uno stipendio persino superiore al collega spagnolo Del Bosque, due Lighe vinte, due Champions League col Real Madrid, oltre a un mondiale e un europeo con la Spagna, che per guidare le furie rosse si «accontenta» di 2,5 milioni l'anno.
Luis Van Gaal, santone del calcio olandese, allenatore futuro del Manchester United, prende meno di due milioni l'anno per guidare la nazionale degli Orange, che sta spopolando in Brasile. James Appiah, ct del Ghana, guadagna 185mila euro l'anno. E su livelli simili in Europa si attestano anche il croato Niko Kovac e il bosniaco Safet Susic. Tutto sommato, Prandelli non ha proprio nulla da lamentarsi. Il commissario tecnico dimissionario ha portato a casa nei suoi quattro anni di gestione una borsa abbastanza ricca.
Forse se in momenti di generale spending review, anziché buttarla in politica, avesse nobilmente messo un freno anche al suo compenso, un riflesso positivo si sarebbe certamente proiettato sul gruppo affidato alle sue cure, frenando nel contempo la condannabile tendenza alle spese folli di una Federazione responsabile, a sua volta, di aver troppo concesso prima, sia al tecnico che ai giocatori, senza porre condizioni per il poi.E gli italiani probabilmente, pur delusi per la sconfitta, sarebbero oggi meno critici verso allenatore e giocatori. Troppi soldi inducono al rilassamento, ma è quando ci si convince senza ragione che sono meritati che spesso arrivano le stangate. In Brasile l'Italia ne ha rimediate due, con un «tutti a casa» inaspettatamente anticipato.
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