rassegna stampa

No al razzismo ma liberi di sfottere

(Il Tempo – Tiziano Carmellini) Buuuuuuh!!!

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(Il Tempo - Tiziano Carmellini) Buuuuuuh!!! E adesso squalificate anche noi. La provocazione viene spontanea a seguire le ultime vicende dell’Italia pallonara. E non tanto per quanto accade sul terreno di gioco, sul quale si potrebbe aprire un filone a parte (vero Nicchi...!?), ma piuttosto per ciò avviene sugli spalti.

Perché una cosa è intraprendere una giusta e condivisibile battaglia contro il razzismo e l’idiozia che lo accompagna, un’altra è spalancare le porte alla provocazione e mettere i club sull’altare del sacrificio. Perché è chiaro che così facendo le società rischiano di diventare ostaggi delle frange più rumorose della tifoseria, una scelta che va in controtendenza rispetto alla costante lotta al «peggio» del calcio. A una normalizzazione degli stadi italiani e di quanto avviene al loro interno.

La norma sulla «discriminazione territoriale» ha aperto una grossa falla sulla legislatura calcistica al punto di compattare, per una volta, le società in un fronte comune contro il Palazzo. A dirla tutta anche la Figc per voce del suo leader Abete, ha preso le distanze dalla normativa Uefa sulla quale invece il signor Platini continua a tenere il punto. Parte tutto dalla decisione di chiudere lo stadio del Milan per un turno, dopo che una parte delle tifoseria rossonera aveva, in occasione del posticipo di domenica sera contro il Napoli, intonato cori «offensivi» contro i rivali partenopei. «Noi non siamo napoletani» e «Napoli colera» sono stati i capi d’accusa per la chiusura di San Siro: discrimazione territoriale, appunto. La regola è chiara: la prima volta viene chiuso il solo settore «responsabile», la seconda tutto lo stadio e la terza la società può incorrere anche in punti di penalizzazione (o gara persa).

Immediata la replica di Galliani che non ha preso per niente bene la decisione. «Capisco il razzismo, ma la norma sulla discriminazione territoriale va abolita: tutti i presidenti sono d'accordo con me e ho già chiamato Abete per dirglielo. Credo che norme di questo genere vadano cancellate, non si capisce perché ci siano solo in questo Paese. Mi sembra geniale come norma, in un paese dove gli stadi sono vecchi, obsoleti e non ci va nessun».

Maurizio Beretta, gli aveva dato man forte parlando di «revisione dell'apparato sanzionatorio» da effettuare. A margine della Giunta del Coni svoltasi ieri a Roma il presidente della Figc, Giancarlo Abete è intervenuto sull'argomento. Da una parte il numero uno del calcio italiano ha specificato come: «La norma italiana ricalca una normativa proposta dalla Uefa dove c'è una linea di indirizzo che tende a tutelare comunque la dignità della persona umana». Allo stesso tempo però Abete ha anche detto che: «È utile, opportuna e doverosa una riflessione sulle modalità applicative». In ogni caso il presidente della Figc ha precisato che: «La discriminazione territoriale nel nostro codice di giustizia è presente da tantissimo tempo, mentre a determinare attenzione sarebbe il fatto che è cambiata la graduazione delle norme».

Poteva mancare il parere di Lotito sull’argomento? Ovviamente no e anche il presidente della Lazio non ha risparmiato bordate all’organismo Europeo. «La Figc è una delle federazioni più importanti della Uefa dove il nostro rappresentate, Giancarlo Abete, è il vicepresidente. Bisogna che il presidente Platini capisca queste situazioni. Non è che Platini è diventato il vangelo, nel vangelo esiste solo nostro signore Gesù. Bisogna adattare le norme alle condizioni di habitat specifiche, agli usi e costumi dell'ambiente».

E cita un caso specifico, quello che era costato la chiusura dell’Olimpico alla Lazio in Uefa. «Con il termine razzista oggi viene inglobata una serie di comportamenti maleducati e campanilistici. Nel caso della Lazio la Uefa ha chiuso tutto lo stadio perché alcuni spettatori della curva intonavano il coro "polacchi puzzate di merda" dopo che i polacchi hanno messo a ferro e fuoco la città: al Legia Varsavia non è successo niente, alla Lazio hanno chiuso lo stadio».

Non vuole rischiare nulla il presidente del Coni Giovanni Malagò che non usa mezzi termini: «Fifa e Uefa vanno verso questo diktat al quale ci si deve uniformare, io non vedo altra soluzione se non che il settore dello stadio interessato faccia qualcosa nei confronti di chi penalizza la sua squadra. Non possiamo fare discriminazione nella discriminazione, non possiamo fare un discorso per chi ha la pelle di un altro colore e un altro per chi viene da un'altra città. Sarebbe paradossale». Così come paradossale sarebbe immaginare la signora che va allo stadio e dice a un gruppo di ultrà di farla finita... magari a brutto muso. Mah!

Ma prendere direttamente i responsabili per un orecchio e accompagnarli fuori dall’impianto no eh!? Una cosa normale, che avviene in tutti gli stadi europei, dove la norma italiana non è nemmeno presa in considerazione perché ci sono le autorità competenti che se ne occupano. Facile.

Vabbè, facciamo così: Giulietta non è più una zoccola, Napoli è Ginevra, i romanisti son pariolini e i laziali nati tutti a Roma centro: altro che pecore. Ops, scusate... ovini!