rassegna stampa

Il marchio tedesco nella storia romanista

La Roma ha avuto frequenti occasioni per trarre vantaggio dalla familiarità con il calcio tedesco.

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E adesso, tutti genuflessi di fronte all’altare del quarto mondiale tedesco. Come simbolo un elaboratore elettronico di enormi dimensioni e perfettamente programmato.

Perché è al «progetto» costruito con pazienza, tenacia e intelligenza che la Germania ha lavorato compatta per renderne possibile la realizzazione. Nel segno di quella cultura che è alla base della civiltà miteuropea.

Grande, e non sempre adeguatamente apprezzato il contributo tedesco allo sviluppo del calcio italiano, ma mai prescindendo da un livello culturale che il nostro sport raramente si sogna. Hanno fatto le fortune dell’Inter due campioni come Matthaeus e Brehme. Il primo avrebbe dovuto essere il regista della formazione, ma in realtà era uno straordinario rifinitore. La regia era così delegata a un esterno di sinistra come Brehme. La Roma ha avuto frequenti occasioni per trarre vantaggio dalla familiarità con il calcio tedesco. Senza arrivare alle due lauree di Oliver Bierhoff, il livello d’istruzione era fondamentale per l’integrazione. Da Mantova era arrivato purtroppo per una sola stagione Schnellinger che sarebbe rimasto in Italia come titolare di una grossa azienda di catering. Se ne restava in difesa fino a quando si alzava l’urlo dei tifosi: «sciogliete il cane», e allora il biondo offensore avanzava raccogliendo consensi.

Poi in una sequenza cronologica i debiti non onorati dalla piazza romana e dai colori giallorossi verso i campioni scesi dalla Germania. Haessler venne messo in liquidazione come una scarpa vecchia da Carletto Mazzone innamorato del nuovo acquisto Moriero, un flop totale. Ritenuto ormai in fase declinante dal tecnico romanista, Haessler sarebbe rimasto ancora capitano della nazionale tedesca. Curioso il breve passaggio in giallorosso di Schutz. Era stato presso come rude difensore, ma quello vero si chiamava Schultz. A Roma arrivò un ragazzo molto tecnico dal fisico non imponente, oltretutto in viaggio di nozze con una sposina di devastante bellezza. Schutz ebbe comunque una dignitosa carriera con la maglia del Torino. Ma l’ignominia della partenza di Haessler sarebbe stata cancellata da quella del giocatore più adorato dal tifo romanista. Il coro «tedesco vola la curva si innamora» sarebbe rimasto per sempre nel cuore dei tifosi. Il peggio è che nella più sciagurata parentesi della storia romanista, la gestione di Ciarrapico al posto di Voeller arrivò a Roma Caniggia con una pesante storia di doping alle spalle. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che nel cambio da Roma ci avrebbe potuto guadagnare.

E pensare che Rudi il diritto a una gratitudine infinita se lo era guadagnato affrontando un finale di stagione di autentico eroismo con la schiena spaccata da un gravissimo infortunio, senza mai affievolire di una virgola il suo impegno sul campo. Diventato dirigente numero uno del Bayer Leverkusen e con una breve parentesi da allenatore a Roma, Voeller sarebbe comunque rimasto un grande amico del calcio italiano e dei colori romanisti.