Un approccio da grande, una seconda parte di gara che rischia di far tornare piccola piccola la Roma. A Baku arriva la prima vittoria esterna in Champions dopo sette anni dall’ultima conquistata nel 2010 a Basilea, la quarta consecutiva sommando il tris di campionato. Quello che serviva, per blindare quantomeno il terzo posto del girone, tenere aperto il sogno qualificazione agli ottavi (giallorossi al momento secondi a +3 sull’Atletico), oltre a guadagnare il milione e mezzo di euro garantito dall’Uefa per ogni successo e dare una ritoccata al prestigio internazionale. Sul modo in cui i giallorossi ottengono tutto questo, però, c’è qualche ombra di troppo su cui lavorare.
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La Roma va, ma che fatica
L’avvio è una grande illusione: due gol segnati in 13 minuti, poi la luce si è spenta e da passeggiata la trasferta azera si è trasformata in un viaggio di sofferenza
L’avvio è una grande illusione: due gol segnati in 13 minuti da Manolas e Dzeko, il Qarabag chiuso nella sua area e costretto a mostrare tutti i suoi enormi limiti tecnici, poi la luce si è spenta e da passeggiata la trasferta azera si è trasformata in un viaggio di sofferenza. Tutto nasce dall’errore banale e inspiegabile di Gonalons alla mezzora, che di fatto ha regalato un gol e tanta fiducia agli avversari, spinti da 65mila spettatori che a Baku la Champions vera non l’avevano ancora vista. È vero, Alisson non ha fatto nessuna parata degne di nota ma per un’ora la Roma ha rivisto i vecchi fantasmi. Imparurita, capace di complicarsi la vita da sola e senza alcun motivo giustificabile. Se tale Dino Ndlovu, numero 9 sudafricano del Qarabag, avesse centrato la porta di testa nel finale, adesso staremmo commentando l’ennesima beffa europea. Insomma tanta carne al fuoco da gestire per Di Francesco, nel bene e nel male. Per la quarta volta di seguito ha cambiato cinque uomini rispetto all’ultima gara, due in difesa e altrettanti a centrocampo prima di ricorrere ai titolari nel finale per conservare la vittoria, più Defrel che da esterno non riesce proprio a incidere. Sostituiva Perotti infortunato e ha fatto la stessa fine: un altro stop muscolare, iniziano a essere un po’ troppi anche se ogni caso è a sé.
Fatto sta che domenica a San Siro contro il Milan la Roma si presenterà con un attacco in piena emergenza e ancora privo di Schick. Il fiore all’occhiello del mercato che dopo la sosta, insieme a Karsdorp, potrà dare una scossa decisiva a una squadra in costruzione. Sarebbe ingeneroso sottolineare solo quello che a Baku non ha funzionato e i motivi per sorridere non mancano. A cominciare dall’ennesima prova da trascinatore di Dzeko.
Con la «legnata» di ieri con cui ha battuto il suo connazionale Sehic siamo a sette gol in altrettante partite e quello di ieri, oltre a essere decisivo a conti fatti, ha anche un valore simbolico: è il centesimo della Roma nella Champions «moderna», preliminari esclusi. Da applausi anche l’avvio di un semi-esordiente come Pellegrini, dal suo tiro è nato il vantaggio di Manolas abbracciato da tutti i compagni. Perché Kostas è il classico «rompiscatole» a cui in fondo non puoi non voler bene. Nainggolan ci ha messo un po’ a entrare in partita ma l’ha fatto quando serviva, Bruno Peres sta confermando una crescita che parte dalla testa, Florenzi ha messo altri preziosi minuti nelle gambe.
Missione compiuta con qualche apprensione, adesso un esame vero contro il Milan prima di una sosta che servirà a ritemprarsi (ma non ai tanti nazionali) in vista di un altro ciclo terribile, con Napoli, Chelsea e Torino fuori. L’ottobrata giallorossa inizia a San Siro ci darà parecchie risposte.
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