rassegna stampa

Italia Ricordati la Corea

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Venerdì partita-trappola contro la sorpresa Costa Rica Occhio alla storia: asiatici fatali due volte, poi il flop nel 2010

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Nessuno ignora quanto possano essere insidiose le bucce di banana. Ed è facile intuirne il motivo: sanno rendersi invisibili e dunque subdole, chi le vedesse non avrebbe problemi a evitarle, invece si confondono con il selciato e quando ci sei sopra con il piede il dramma si compie, gambe all'aria e lividi o fratture, nella migliore o peggiore delle ipotesi.

E dunque farà bene, l'Italia, a guardarsi da un cammino in apparenza agevole, la sfida con quella che era stata definita la Cenerentola del gruppo. Definizione superficiale, perché in realtà, alla faccia di matrigne e sorellastre, alla fanciulla dal piedino di fata era andata di lusso, dal ballo con il Principe a una reggia padronale. Dunque, nell'approccio al secondo appuntamento brasiliano, indispensabile per gli Azzurri dare tutto il credito possibile alla Costa Rica, che ha lasciato vistose cicatrici sulla pelle dei ben più quotati uruguagi, che adesso dovranno fronteggiare un crudele duello tra grandi deluse con l'Inghilterra.

Per l'Italia, l'emblema storico delle cose scontate è logicamente rappresentato dalla Corea del Nord, il giustiziere identificato in un dentista che al massimo era un odontotecnico, che ci avrebbe procurato la più dolorosa delle estrazioni di dente del giudizio. Data, il 19 luglio del '66, scenario Middlesbrough. tetra città del Nord dell'Inghilterra. Per l'Italia di Fabbri, partita alla grande con il, Cile, ma poi sconfitta dall'Urss, si profilava un comodo passaggio del turno, ma la partita prese subito una brutta piega, Bulgarelli azzoppato, non esistevano le sostituzioni, assalti vani alla porta asiatica, il sinistro maligno di Pak Doo Ik a trafiggere Albertosi, il talento di Rivera e Mazzola non bastò a porre rimedio. Ricordo bene l'ilarità degli inglesi padroni di casa. Mondino Fabbri era un uomo che le disgrazie se le attirava, si ricorda di un pullman del Cagliari in fiamme mentre dal cielo si scatenava un nubifragio.

Se la sconfitta del 2002 con l’altra Corea l’ha propiziata soprattutto l’arbitraggio di Moreno, il troppo facile ha colpito duramente in epoche più recenti, ma nel Mondiale sudafricano non fu una sola partita a sancire la condanna della Nazionale di Lippi campione del Mondo in carica. Un girone eliminatorio da passeggiata di salute, il pareggio con il Paraguay all'esordio sembrava destinato soltanto a definire il duello per primo e secondo posto. Qualche fosco presagio lo avrebbe suscitato la sfida con i neozelandesi che, non trattandosi di una partita di rugby, si presentavano come dilettanti di modesto livello. Ma c'era voluto un rigore di Iaquinta per rimediare a un inatteso svantaggio. Per fortuna avevamo a disposizione una ulteriore occasione di riscatto, qualificazione quasi in tasca, non poteva essere la Slovacchia di Marek Hamsik a spaventare i nostri baldi moschettieri. Ma il disastro era in agguato dietro l'angolo. Sotto di due gol, spietato esecutore Vittek, aveva riaperto il cuore alla speranza Di Natale a nove minuti dalla fine, ma Skopunek avrebbe ristabilito le distanze, l'immediata replica di Quagliarella sarebbe risultata accademica, un rientro a casa immediato.

Come era accaduto a Messico ’86, quando Bearzot aveva pagato caro un debito di riconoscenza verso i campioni del Bernabeu, anche Lippi avrebbe commesso lo stesso errore, sottovalutando il logorio dei protagonisti del miracolo di Berlino. Stavolta, sarà indispensabile prendere coscienza di una legge del calcio: prima di vincerle, le partite vanno giocate.