L’iter amministrativo che si è concluso con il via libera alla costruzione del futuro stadio della Roma a Tor di Valle. È il nuovo filone su cui sta indagando la Procura di Roma. C’è già infatti un fascicolo aperto dai pm romani sulla bancarotta fraudolenta di alcune società proprietarie del terreno su cui James Pallotta e i suoi soci vogliono costruire l’impianto sportivo giallorosso. Nella seconda indagine si cercherà di ripercorrere le tappe che hanno portato, il 22 dicembre, l’Assemblea capitolina ad approvare la delibera che prevede il riconoscimento di pubblico interesse dello stadio nell’area di Tor di Valle. Delibera fortemente voluta dal sindaco Ignazio Marino, presente in aula al momento della votazione finale. Il percorso amministrativo in realtà non si è ancora concluso, perché ora il progetto definitivo dovrà essere presentato alla conferenza dei servizi della Regione Lazio, che da quel momento avrà 180 giorni per esprimersi. Solo con un esito positivo di quest’ultimo passaggio, potranno partire i cantieri.
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Sotto inchiesta lo stadio della Roma
Nuovi ostacoli rallentano la costruzione del nuovo impianto: mentre Il Movimento 5 Stelle e i residenti della zona si oppongono, la procura di Roma indaga sulle modalità dell'acquisto del terreno
L’As Roma ha previsto che in primavera verrà posta la prima pietra, in modo tale che l’impianto sia pronto in due anni. Inchieste giudiziarie permettendo. Il primo procedimento, giunto in parte da Napoli per competenza, punta a chiarire se la cessione dell’area, avvenuta nel 2013, al prezzo di 42 milioni di euro sia stata o meno la conseguenza di una distrazione di fondi legata alla bancarotta, per cercare di alienare beni della società e sfuggire ai creditori. Per quanto riguarda il secondo filone d’indagine, vi sono già due esposti presentati alla Procura sull’opportunità di costruire lo stadio in quell’aerea: uno è firmato dei consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle e un altro dal Comitato Tor di Valle. Secondo il portavoce dei pentastellati in Campidoglio Marcello De Vito, «l’operazione non fa l’interesse pubblico, perché in una zona già piena si porteranno altre 50.000 persone, senza infrastrutture adeguate all’impatto dell’iniziativa». Dieci i punti contestati dal Movimento: «Con la scusa di costruire uno stadio, in realtà si costruisce un intero quartiere; la maggior parte dei terreni non sono di proprietà del Comune, né dei soggetti che propongono il progetto; la dichiarazione di pubblico interesse determina un aumento del valore dei fondi: l’affare lo fanno le famiglie Parnasi e Armellini». E ancora, secondo i 5 Stelle: «L’Istituto Nazionale di Urbanistica aveva certificato come il progetto stravolga il piano regolatore della città; esiste già un progetto di centro direzionale costato un miliardo di euro, che si sarebbe dovuto realizzare negli anni ’60, i cui spazi sono attualmente inutilizzati e abbandonati; esistono già numerosi centri commerciali nello stesso quadrante; così come esiste già un grattacielo, voluto da Zingaretti, realizzato da Parnasi, costato 263 milioni di euro e attualmente vuoto. Senza contare che l’area è palesemente inidonea, infatti l’Autorità di bacino del Tevere ne ha evidenziato l’elevato rischio idrogeologico».
Anche i residenti sono contrari a quella che ritengono una “speculazione”. «L’intera superficie dello stadio, più i campi di allenamento – spiega il Comitato – occuperà circa 49.000 metri quadrati, cioè solo un settimo della superficie interessata alla colossale operazione del «BusinessPark», che ammonta a 345.000 metri quadrati. Su questa superficie sono previsti 977.000 metri cubi di edificazioni a destinazione «direzionale» (tra cui tre grattacieli alti 220 metri) e un centro commerciale. Queste misure renderebbero palese che in realtà lo Stadio è solo un pretesto, un «cavallo di Troia», per sfruttare la Legge 147/2014 (cosiddetta «Norma sugli stadi») e ottenere il permesso per riversare in quell’area quasi un milione di metri cubi di cemento». Su questo e molto altro gli inquirenti di piazzale Clodio stanno indagando.
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