L’ultimo dei ribelli. De Rossi, nel giorno dei funerali dell’Italia e del suo addio alla Nazionale, non ce l’ha fatta a restare in silenzio in panchina ad aspettare, e sperare, che la partita con la Svezia prendesse il verso giusto. Quando un uomo di Ventura gli si è avvicinato per dirgli di andare a scaldarsi, Daniele è andato su tutte le furie, perché "dobbiamo vincere, mica pareggiare", ha urlato in faccia a un componente dello staff azzurro. "Ma che entro io?", è incredulo il centrocampista che si sarebbe sostituito volentieri all’allenatore, per mandare in campo Insigne, seduto accanto a lui, nel posto sbagliato. De Rossi ha platealmente contestato la scelta del ct, ma si è alzato comunque, controvoglia, controsenso. "Chiedo scusa – il mea culpa a fine gara – se ho offeso qualcuno, servivano gli attaccanti per fare gol, anche se non nascondo che mi sarebbe piaciuto entrare". Si è fermato a 117 presenze in azzurro, 21 gol e un Mondiale vinto, e non voleva chiudere una storia così bella con una notte tanto brutta. Per questo che ha avuto quel gesto di stizza, impotente e ribelle come molti altri prima di lui.
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De Rossi come Chinaglia. Ultimo ribelle del pallone
Daniele si è fermato a 117 presenze in azzurro, 21 gol e un Mondiale vinto, e non voleva chiudere una storia così bella con una notte tanto brutta
Nel 1974, durante la partita d’esordio ai Mondiali contro Haiti, Valcareggi inserì Anastasi al posto di Chinaglia, che tornando in panchina riservò un bel «vaffa» a parole e gesti al ct. Carnevale mandò a quel paese Vicini che l’aveva sostituito con Schillaci e per lui Italia ’90 finì lì. È passato alla storia il «questo è matto» di Baggio a Usa ‘94 contro Sacchi, che aveva tolto il Divin Codino dopo l’espulsione di Pagliuca. Più recente l’esclusione di Osvaldo dalla Confederations Cup 2013, punito da Prandelli per non aver partecipato alla cerimonia di premiazione del derby di Coppa Italia perso con la Roma. Pellè un anno fa contro la Spagna uscì imbronciato e non strinse la mano aVentura: fu cacciato per indisciplina. Nei club non va meglio: gli insulti di Signori a Eriksson in un Rapid Vienna-Lazio del ‘97, le scaramucce di Panucci con Lippi, Capello e Spalletti, il «vaffa» di Montella a Capello nell’anno dello scudetto giallorosso, le follie di Edmundo nella Firenze di Trapattoni. Balotelli e Mancini sono quasi venuti alle mani, Delio Rossi ha aggredito Ljajic e c’è stato anche un caso Vieri, che lasciò il ritiro dell’Inter con la scusa dell’eccessivo caldo in stanza solo per evitare la panchina. De Rossi, invece, avrebbe fatto alzare un altro al posto suo, per cercare un miracolo che non c’è stato. E la Nazionale ha perso così Daniele, il ribelle al contrario.
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