«Noi siamo disponibili a modifiche ma se per modifiche si intende la demolizione delle tribune dell’Ippodromo la risposta è un secco e chiaro no». Suo padre, Julio, è l’architetto che progettò, insieme all’ingegner Gaetano Rebecchini e all’ingegnere strutturista Calogero Benedetti, l’ippodromo di Tor di Valle. Come il padre, Clara Lafuente è architetto. Fra le varie opere, sua è la risistemazione degli spazi interni del celebre Hotel de Russie, dietro piazza del Popolo. Quando la prossima settimana l’architetto Federica Galloni, a capo della Direzione Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane del Ministero dei Beni Culturali, firmerà il decreto di riconoscimento del diritto d’autore sull’ippodromo, sarà lei, Clara Lafuente, in qualità di erede, ad avere l’ultima parola su qualunque progetto che riguardi Tor di Valle. Il che può tradursi in un accordo con la Roma, oppure in uno stop al progetto Stadio. A meno che, ricorrendo al Tar, la Roma non ottenga l’annullamento del vincolo. Perdendo comunque settimane di tempo.
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Clara Lafuente: “Il progetto è una grave offesa. Spostate lo stadio o blocco tutto”
Parla la figlia dell'architetto che progettò le tribune dell'ippodromo di Tor di Valle: "Bisogna invertire la posizione dell'impianto e del Business Park. Questo consentirebbe di recuperare perfettamente le tribune"
Architetto Lafuente, detto che la demolizione per lei è da escludersi, nell’ultima versione del progetto che i proponenti hanno presentato in Regione è inclusa la costruzione di una sezione delle tribune dell’ippodromo usando i progetti originali di suo padre, creandone, quindi, una copia.
«Questo progetto lo considero una grave offesa all’architettura e un ancor più grave precedente, una specie di falso».
Ma se la ricostruzione di nuove tribune usando i progetti originali non va bene, qual è la via d’uscita?
«Noi abbiamo effettuato una serie di calcoli sul progetto, abbiamo esaminato piante e i disegni planivolumetrici. In sostanza, lo Stadio vero e proprio e il Business Park hanno più o meno la stessa dimensione e una volumetria analoga. Io credo che la soluzione sarebbe invertirne la localizzazione: dove ora è previsto lo Stadio, cosa che comporterebbe l’abbattimento delle tribune, deve essere realizzato il Business Park. E dove ora è previsto il Business Park, deve andare il catino dello Stadio. Questo consentirebbe di recuperare perfettamente le tribune, integrandole nel tessuto vivo del progetto e non relegandone una brutta scopiazzatura in un angolo remoto».
Tuttavia, questa soluzione comporterebbe una serie di problemi. In sintesi il progetto dovrebbe essere, completamente ridisegnato. Architetto Lafuente, non è un po’ troppo?
«Nella richiesta di apposizione del vincolo che ho presentato al Ministero dei Beni culturali, ho appositamente voluto evitare di chiedere di vincolare anche il sedime della pista. La questione è quella di non disperdere un’opera di architettura e ingegneria moderna. Mi lasci dire una cosa. Nel nostro Paese manca una cultura dell’architettura moderna. Mancano leggi che la tutelino e aver spostato a 70 anni il limite di età di un edificio per vincolarlo credo rappresenti un errore perché espone un grande patrimonio architettonico ad essere cancellato senza appello. In questa battaglia per tutelare l’opera di mio padre devo ringraziare il compianto professor Giorgio Muratore che, fino all’ultimo giorno, ha lavorato alacremente per sollecitare e organizzare questo vincolo».
Parlando di architettura contemporanea, qual è il suo giudizio sulla prima versione del progetto, quella con le tre Torri di Daniel Libeskind.
«Libeskind è un ottimo architetto ma non so se quel tipo di architettura si adatti bene a Roma o piuttosto risulti meglio in altri contesti, magari in luoghi o città dove prevale una forma di disegno architettonico più di questo tipo, decisamente meno classica di quella di Roma».
Lei sa che non appena la Galloni firmerà il decreto sul vincolo, questo verrà portato al Tar. Fra le questioni da sottoporre al Tribunale, c’è quella delle modifiche cui l’ippodromo è stato sottoposto dal 1959 in poi. L’opera non è più un “originale“.
«È un falso problema. Si tratta di rimaneggiamenti superficiali che non alterano affatto la struttura originale. Piuttosto, che fine hanno fatto le grandi vetrate che proteggevano il lato posteriore della struttura e che, pochi mesi dopo il cambio di proprietà, non c’erano più causando un grave deterioramento delle strutture?».
Il Tar dovrà valutare anche il cambiamento di idea del Ministero. Altro elemento di potenziale annullamento del vincolo. Sospira: «Mio figlio è tifoso della Roma e vuole lo Stadio. Per lui il massimo sarebbe salvare le Tribune insieme allo Stadio». Il Tar? «Che le devo dire? Il Tar è sempre una sorpresa».
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