rassegna stampa

Capello: «Dovevo fare come Spalletti»

L'ex tecnico giallorosso: "E' vero, non ho mantenuto la parola"

Redazione

Ammetterlo dopo è semplice, ma le promesse non svaniscono e difficilmente vengono dimenticate. La lunga carriera di successi di Fabio Capello non ha infatti cancellato il ricordo del tifoso romanista, diviso dalla stima per un tecnico riuscito a conquistare l’ultimo scudetto della storia giallorossa e dal «tradimento» di un uomo che durante quegli anni ammise pubblicamente di non poter mai accettare l’idea di finire sull’odiata panchina della Juventus. Un viaggio nella notte verso Torino interruppe bruscamente il legame con una città che ancora oggi non è riuscita a digerire lo schiaffo ricevuto. Con il tempo è arrivata di conseguenza anche l’ammissione di Capello: «È vero, non ho mantenuto la parola. Avrei dovuto fare come Spalletti perché noi siamo professionisti. Invece ci sono andato». Il riferimento all’attualità romanista appare più calzante che mai, con l’allenatore toscano fortemente dubbioso sulla possibilità di accettare la proposta di rinnovo contrattuale e allo stesso tempo sincero nel dichiarare la propria ipotetica disponibilità per qualsiasi proposta che arriverà in futuro. Compresa una chiamata della Juve.

Meglio mettere subito le cose in chiaro, che rischiare un’altra brutta figura davanti agli occhi dei tifosi. Anche perché Spalletti si è già scontrato in passato con situazioni simili durante la sua prima avventura in giallorosso. Nel giugno del 2008 il toscano fu avvistato in un elegantissimo hotel di Parigi per partecipare a uno dei provini organizzati dal patron del Chelsea Abramovich. L’incontro (con tanto di incrocio casuale con Ancelotti nell’hotel) creò parecchi malumori all’interno dello spogliatoio di Trigoria. L’esperienza quindi ha giocato un ruolo importante durante il percorso di Spalletti, l’unico a trovarsi in una posizione differente rispetto ai suo predecessori finiti sulla panchina della Roma durante l’era americana. Dalla decisione personale di Luis Enrique fino agli esoneri di Garcia e Zeman, uno di quelli che non ha mai avuto problemi a cambiare la rotta professionale. Per questo i trascorsi da allenatore della Lazio non intaccarono il successivo passaggio in giallorosso.

L’importante è non dichiarare il contrario. Essere profeti in patria è difficile anche per un allenatore, ma forse non tanto quanto cercare di riuscirci su due panchine della stessa città. Chiedere a Mihajlovic: «Per come sono fatto io, non potrei mai allenare il Milan anche a costo di morir di fame, ho troppo rispetto per i tifosi dell’Inter». Parole tornate indietro come un boomerang al momento della firma arrivata con i rossoneri qualche anno più tardi. Stessa sorte toccata a Malesani a Verona, Del Neri e Delio Rossi a Genova, Zaccheroni e Leonardo a Milano (scelta mai digerita dai tifosi rossoneri). E’ andata addirittura peggio a Jorge Jesus minacciato dai tifosi del Benfica, dopo il «tradimento» che ha spinto il tecnico portoghese a dire sì allo Sporting Lisbona.

(A. Serafini)