«Il mio vantaggio è avere un gruppo di giocatori come Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini e De Rossi. Quando entrano in campo è come se avvertissero gli altri: “Ci si allena così”. Io non devo dire niente, pensate un po’» dice Gian Piero Ventura intervistato dalla redazione sportiva de Il Messaggero.
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Ventura: “La mia Italia bambina conquisterà il mondo. De Rossi importante per la Nazionale”
Il CT: «Daniele ha capito che, per stare ad alti livelli, deve allenarsi bene».
In Nazionale ha puntato sul ricambio generazionale, ma anche quando è stato allenatore di club ha puntato sempre sui giovani: quali sono le controindicazioni?
«Non basta aver pazienza. Bisogna mettere in preventivo che spesso la crescita ha delle pause. Belotti, ad esempio, non ne ha avute. I progressi sono stati costanti. Adesso, però, dobbiamo vedere come si comporta con la clausola di 100 milioni. È il primo esame importante sotto l’aspetto psicologico. Ancora non so come reagirà. Speriamo bene... Ma conosco il ragazzo e sono fiducioso che continuerà a lavorare per crescere ancora».
L’Italia dei giovani rischia di essere però inesperta: solo gli juventini e Insigne, che in azzurro non è nemmeno titolare, fanno la Champions. I suoi colleghi di Germania e Spagna possono invece andare più sul sicuro. Come pensa di recuperare il terreno dalle big d’Europa?
«Fortunatamente comincio a sentire diversi presidenti dire che sono pronti a puntare più sugli italiani. I giovani sono di sicuro i più penalizzati: gli stage sono un’opportunità. Per avere almeno qualche vantaggio dal campionato la nostra serie A deve comunque essere più competitiva».
Gli stage a Coverciano per i giovani, le partite ufficiali per i titolari: il suo lavoro pagherà anche se viaggia su due binari paralleli?
«Vedrete che presto la Nazionale sarà solo una. Io ho sfruttato i quaranta giorni di Conte all’Europeo per partire bene nelle qualificazioni mondiali: un pari con la Spagna e tre successi in trasferta. Solo una si qualificherà direttamente, e per noi sarebbe un’impresa. Ma se andiamo in Russia, anche passando dagli spareggi, saremo protagonisti. Io sono partito con il 3-5-2 di Conte, ma ho già usato il 3-4-3 e il mio 4-2-4 che nessuno utilizza, né in Italia né in Europa. L’ho scelto perché abbondano gli esterni e scarseggiano le mezzali. Non funziona solo contro la difesa a cinque e quindi in campo internazionale, dove tutti usano la linea a quattro, va benissimo. Io mi sento ancora allenatore, anche se tornerò in campo solo dopo 3 mesi. E per lo stage».
De Rossi è ancora un perno della Nazionale?
«È un calciatore importante. Ha capito che, per stare ad alti livelli, deve allenarsi bene».
Perché non può fare coppia con Verratti?
«E chi lo dice? Io penso che non possano stare l’uno accanto all’altro in un centrocampo a tre, mentre se si gioca a due sono perfetti e infatti li ho schierati in partite ufficiali».
Quanto le ha dato fastidio il paragone con Conte?
«A un certo punto ho detto basta. Non sopportavo più il pregiudizio. Che senso aveva mettere a confronto la sua sfida con la Spagna con la mia? Lui aveva la squadra da quaranta giorni, io da tre. Mi veniva rimproverato che ero e sono un ct senza aver vinto uno scudetto. Ma in Italia chi vince gli scudetti, al momento solo l’allenatore della Juventus, dove ormai Allegri fa il selezionatore. Sfido uno come Zidane ad allenare in Italia una squadra di medio-bassa classifica. Qui si finisce sempre in discorsi troppo semplicistici: senta questa».
Prego.
«Quando l’Atalanta ha inanellato un filotto di vittorie mi è stato chiesto giustamente il perché non giocassimo come loro. Ho dovuto spiegare che quelle vittorie erano figlie di un lungo lavoro in precampionato e delle esperienze vissute nella prima parte del campionato, tra l’altro con risultati non positivi. In Nazionale tutto quel tempo non c’è. Se avessi sbagliato con l’Italia le prime quattro partite la mia avventura in azzurro sarebbe già finita».
Il suo più grande rimpianto?
«O’Neill. Il più grande che ho allenato. Per me più forte anche di Veron. Me lo sono goduto, però, appena un anno. Aveva dei problemi e non c’è stato niente da fare. Sono riuscito ad avere il meglio da lui per un campionato solo. Comunque anche con l’argentino il Cagliari fece una plusvalenza, cedendolo alla Juventus e ricevendo 18 miliardi più il prestito di Ametrano».
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