rassegna stampa

Uno sfottò è per sempre

(Il Messaggero – A.Angeloni) – È una questione di incudine e di martello. E a chi tocca nun se ‘ngrugna, recita un adagio popolare tutto romano.

Redazione

(Il Messaggero - A.Angeloni)- È una questione di incudine e di martello. E a chi tocca nun se 'ngrugna, recita un adagio popolare tutto romano. Questa è l’era del 71, il minuto in cui Lulic ha colpito nel derby di Coppa Italia. Quel numero è diventato una maglia, uno spot, una scritta, una linea di abbigliamento, un aereo, un simbolo, un’icona. Tutto l’inimmaginabile. È il retrogusto del derby, quel famosi sfottò che certe volte scatena un sorriso amaro, altre dei veri e propri microdrammi. Ma che ci porteremo appresso all’infinito.

INCUDINE E MARTELLO

Certi festeggiamenti, nel tempo, vengono ricordati più dei gol stessi. Caratterizzano un momento, lo fotografano, lo rendono immorale e leggendario. Il 3-0 che la Lazio ha rifilato alla Roma nel dicembre del 2006, ad esempio, viene riconosciuto per il tuffo di Delio Rossi nella Fontana del Gianicolo. Leggendario è stato anche quello vinto dalla Roma grazie all’autogol di Negro così come mitologica è diventata la maglia che ha celebrato quel tocco infausto del terzino biancoceleste la sera del 17 dicembre del 2000, Sant’Abete, protettore dell’autorete, si diceva. Sulle maglie celebrative Negro è insieme con un po’ di giocatori della Roma, tutti a festeggiare. Perché Paolo - si diceva - è «uno di noi». Una cosa che ti fa incavolare e magari ti manda in analisi.

MANI E AUTOGOL

Il Negro della Roma si chiama Lanna, che qualche anno prima ebbe la malaugurata idea di prendere la palla con la mano in area a pochi minuti dalla fine. Così, senza alcun motivo. Da quel giorno è diventato l’idolo dei laziali (e ti credo...), che in Curva gli avevano dedicato un gruppo, «agguanta la palla Marco Lanna». E che dire del mega striscione esposto in Nord al quarto derby consecutivo perso dalla Roma di Zeman: «Siete su scherzi a parte».

LA GUERRA DI PAOLO

«Ci sono due modi per tornare da una battaglia: con la testa del nemico o senza la propria», lo spot del derby di Di Canio, che così caricava la squadra e quella frase è immortalata a Formello. Di Canio, come possiamo notare è sempre stato molto sobrio nelle sue esternazioni verbali e in campo. È quello che parlava di battaglia e quando faceva gol (è successo due volte) puntava il dito - alla Chinaglia - verso la curva Sud.

TOTTI E SFOTTI

Ci sono i derby di Di Canio e ci sono quelli di Totti, che da disprezzato, a sua volta disprezza. Il capitano della Roma è quello della maglia «Vi ho purgato ancora», quello del pollice verso «vi mando in B», quello di «chi è l’uomo derby? Reja». Totti per questo è stato spesso accusato di festeggiare con un certo cattivo gusto.

Di Canio stesso ha difeso Francesco quando con quei pollici augurò alla Lazio di andare in serie B. Perché chi ha vissuto i derby capitolini da laziale a romanista sa cosa vuol dire sfottere. Totti fa rima con sfotti. E forse anche Di Canio fa rima con sfotti. Di questo parliamo oggi e tra dieci anni. Sempre.