rassegna stampa

Trapattoni: “E’ sfida scudetto. Il derby non lo deciderà il singolo ma la squadra”

L'ex Ct della Nazionale è il doppio ex mancato del derby della capitale "Sia quando mi chiamò Viola che quando incontrai Sensi sarei venuto a piedi ma ho avuto paura di non poter vincere subito"

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«Due volte sono stato vicino alla Roma, l’ultima invece alla Lazio. Per motivi diversi, sono sempre stato io a tirarmi indietro». Giovanni Trapattoni, 75 anni, è il doppio ex mancato del derby della capitale. Nemmeno la signora Paola, conosciuta durante le Olimpiadi del ’60 e tifosissima giallorossa, è mai riuscita a influenzarlo nelle scelte. I no sono spalmati nella sua lunghissima carriera. Giuan si negò a Dino Viola alla fine degli anni Ottanta, a Franco Sensi nel maggio del ’97 e a Claudio Lotito poco più di un anno fa. Conosce bene il sapore di questa sfida. A casa della moglie ha capito che cosa significa per la gente di qui. «Sarà spettacolare e anche di prima qualità: Garcia e Pioli guidano due grandi squadre».

Lui li ha vissuti al Nord. Dentro San Siro, da giocatore del Milan e da allenatore soprattutto dell’Inter (ha guidato anche inizialmente la squadra rossonera), e al comunale di Torino da tecnico della Juve. «In tutto il mondo è la Partita. Ma da noi è qualcosa di più. Si divide in due la città. E’ tutto accentuato. Sono le nostre esagerazioni».

Chi trema di più: l’allenatore o i giocatori?

«Non ho dubbi. Per un tecnico è più dura. Si rende conto, prima di giocarla, quali e quanti effetti può scatenare il risultato. Nel bene e nel male. I calciatori sono più sfrontati. Tanti oggi sono stranieri. All’Olimpico giusto Totti e i pochi romani che saranno in campo sentiranno la tensione».

Ha avuto Pioli, 30 anni fa: studiava da allenatore?

«L’ho voluto alla Juve che aveva solo diciottanni. Era già maturo. Tecnicamente bravo e tatticamente preparato. Non mi meraviglia trovarlo a certi livelli».

Il pregio di Pioli?

«E’ intelligente, sa capire le situazioni e leggere le partite. E ha la personalità per confrontarsi con i giocatori. Mi basta sentire le sue interviste. Quando parla, ecco che esce fuori il suo spessore. Sa sempre che cosa dire. Prima e dopo la gara».

Ha allenato Pioli nella Juve e Totti in azzurro: si aspettava di vedere il capitano giallorosso ancora protagonista a 38 anni?

«Non mi stupisco, perché ho conosciuto il professionista. Anzi, è addirittura migliorato. Prima si accontentava del suo talento e non andava oltre. Sapeva che bastava e avanzava. Adesso credo che si sia innamorato dei suoi colpi. E li usa per per centrare gli obiettivi. Suoi e della Roma».

Totti, come Pioli, vorrebbe fare l’allenatore: consigli per lui?

«Se è innamorato della Roma, da tecnico si deve preparare a fare le valigie. Non può restare a vita. Se preferisce rimanere nella capitale, può essere il braccio destro del presidente. Meglio dirigente, dunque».

Come mai i due no alla Roma?

«Io, in entrambi i casi, sarei venuto a piedi. Sia quando mi chiamò Viola che quando incontrai Sensi. E’ la verità. Ma al tempo stesso ammetto con sincerità di aver avuto paura di non riuscire a vincere subito. Io, invece, a Torino ero sereno: a fine stagione qualche successo arrivava e l’avvocato Agnelli, quando mi parlava. non era così esigente come raccontavano»,

Perché, a fine 2013, ha scartato anche l’offerta della Lazio?

«Ero in trattativa con due nazionali. Lotito mi garantiva solo sei mesi. E non vidi alcun progetto».

Conosceva Garcia?

«Come allenatore. Ora ho scoperto la sua saggezza. E anche il suo modo di affrontare la platea. Penso che piaccia ai tifosi: sa schierarsi. Ma poi li ha convinti con il bel gioco: nella capitale conta parecchio. Quando ha polemizzato per i torti nella gara con la Juve, ho capito che è stato trascinato dall’ambiente. So tutto, da mia moglie...».

Chi sarà l’uomo derby?

«La Roma e la Lazio sanno esaltare il collettivo più del singolo. Non lo decide uno, ma la squadra. C’è equilibrio».

Chi lo vincerà?

«La sfida è ad alta quota. Quindi non esiste la favorita. Match aperto, anche perché il risultato inciderà sulla classifica. Vale, insomma, per lo scudetto».

Il derby di Roma proprio non ha niente dei suoi?

«Si avvicina a quello di Milano: per gli sfottò. A Torino era socialmente diverso. Gli operai contro il padrone. Mi sopportavano solo perché venivo da Cusano Milanino. Figlio pure io di un operaio».