(Il Messaggero - A.Angeloni) È un Francesco Totti molto natalizio, pieno di buoni propostiti, quello intervistato dal suo ex compagno di squadra Christian Panucci per sky.
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Totti:«De Rossi per forza»
(Il Messaggero – A.Angeloni) È un Francesco Totti molto natalizio, pieno di buoni propostiti, quello intervistato dal suo ex compagno di squadra Christian Panucci per sky.
Anche il capitano della Roma entra a far parte di diritto della schiera del Signori del calcio. Un signore che ha fatto 207 gol in serie A (262 totali), ma che - suo malgrado - quella cifra l’ha toccata il 22 maggio scorso, un’eternità fa. «Il gol per me è sempre importante e, se devo essere sincero, mi manca. Però adesso sto giocando in un altro ruolo e mi diverto lo stesso. L’importante è che la Roma vinca, come è successo a Napoli e Bologna. Prima o poi il gol tornerà, ormai bisognerà aspettare il duemiladodici».
Manca poco. Al di là dei gol, Totti è tornato a sorridere, dopo lo sfogo post-Roma Juve, quello del «ho pensato di andare via». Il rigore sbagliato contro Buffon, gli insulti del giorno dopo, quindi il rancore verso qualche tifoso. «Mi è dispiaciuto il modo in cui sono arrivati, soprattutto perché c’erano i miei figli. Finché la critica è costruttiva, l’accetto, ma se mi offendono in quel modo non ci sto. Non ce l’avevo con i tifosi della Roma in generale, però in quel momento mi sono sentito tradito. Per la squadra ho sempre dato il mille per mille e ci ho sempre messo la faccia».
Siamo in periodo di feste, arrivano gli auguri del capitano a tutti i suoi tifosi, a se stesso, alla Roma. A De Rossi, che nell’immaginario è l’altro Totti, non fa gli auguri, quasi lo mette solo alle strette sulla questione contratto, da capitano e amico. «Se fossi Baldini cosa direi a Daniele? O firmi, o firmi. Perché sei romano e romanista e non puoi andare da nessuna parte». Il messaggio è lanciato proprio da uno che in passato ha rinunciato ad avventure straniere per vivere la sua grandezza nella città che ama (...)
De Rossi restarà, sono pronti a giurare. Ma intanto il City preme e continua con l’assalto. Totti ripercorre proprio questi anni in giallorosso. I momenti migliori, gli allenatori, le delusioni. Racconta come ha cominciato a prendere il vizio del gol. «A Genova nel duemilacinque, contro la Sampdoria, mancavano quattro attaccanti Spalletti e mi disse: Francesco, te la senti di giocare da prima punta? Mi son detto: proviamoci, i piedi sono quelli, al massimo finisce 0-0. Invece, da quella domenica ho segnato e non mi ha più tolto da lì. In quel momento ho capito che era il ruolo che preferivo».
Per Panucci, nonostante i gol, Francesco resta un numero 10, con Rivera il migliore in Italia (...) «Vedermi accostato a un giocatore come lui è motivo di orgoglio. Io non riesco a vedere ciò che vede la gente, perché io devo farlo in campo. Ogni tanto riguardo le immagini delle partite e alcune cose, sinceramente, non riesco a capirle neanche io quando le faccio. Soprattutto certi gesti difficili».
Con Spalletti prima, con Ranieri poi la Roma ha sfiorato lo scudetto. «Sono stati anni bellissimi, ma abbiamo trovato un’Inter fortissima, devastante. Sarebbe stato bello vincere un altro titolo, purtroppo è andata male. Però in quegli anni ci siamo tolti qualche soddisfazione in Champions, tranne quella maledetta serata di Manchester. Che ricordi ho? Speravo che la partita finisse il prima possibile, perché era un incubo. Facevano bene a entrare da tutte le parti, perché quando una squadra ha la possibilità di asfaltarti è giusto che lo faccia».
Dello scudetto 2001, il ricordo è ancora vivo. «Troppo bello, perché sono riuscito a realizzare quello che ho sempre voluto, cioè vincere lo scudetto con la Roma da capitano, da protagonista. Fortunatamente, ho capito cosa significhi vincere a Roma. Il rapporto con Capello? Ho sempre rispettato sia la persona sia l’allenatore. Con lui ho mantenuto un buonissimo rapporto con lui. Quando è andato via c’è stato un piccolo screzio, ma è finita là, anche perché è uno degli allenatori che ho sempre stimato e stimerò sempre. L’ambiente romano? Molto difficile. Io, fortunatamente, ho la possibilità di conoscerlo, so cosa i tifosi vorrebbero dalla squadra. Però, purtroppo, non sempre nel calcio si possono trovare cose che tutti vorrebbero. Negli anni di Capello potevamo vincere più di uno scudetto, purtroppo per la troppa voglia non siamo riusciti a vincere qualche partita importante, ed è cambiato tutto».
Con Capello il rapporto più contrastato, con Spalletti la crescita tattica, Zeman resta il suo preferito, ora Luis. «Un bravo allenatore, con il quale faremo bene», dice dello spagnolo, che forse - se le cose continueranno ad andare così - sarà forse il suo ultimo tecnico. Da Mazzone a Luis, negli anni. «Tuttora lo ringrazio Carletto, perché per me è stato come un secondo padre. Ho avuto la fortuna di averlo negli anni più delicati, quelli tra i sedici e i diciannove anni. Mi ha gestito nel migliore dei modi, anche perché in una città importante come Roma non è facile gestire un giovane, soprattutto romano, che la gente voleva che giocasse, invece lui mi teneva un po’ distante da tutto. I ricordi del 4 settembre del ’94? Un’immagine bellissima, l’emozione del mio primo gol in seria A».
L’esordio nella massima seria con Boskov, il 28 marzo del ’93. Diciotto anni fa. «Non pensavo che avrei avuto una carriera così prestigiosa. Ma, da quel momento, ho capito che il calcio fosse il mio lavoro principale. Più che un lavoro, una passione. Ho sempre cercato di dare il massimo e sono arrivato fino a questo punto». Da piccolo campione a calciatore di livello internazionale, oggi anche marito e padre di due bambini, Cristian e Chanel. «Mia moglie Ilary per me, è importantissima perché mi trasmette serenità, è una persona tranquilla, gioiosa, mi ha aiutato nei momenti difficili che ho attraversato in alcuni anni. È una persona intelligente e una mamma perfetta, una persona davvero speciale, sempre solare, e poi mi ha dato questi due gioielli, che sono i nostri figli. Perciò è una persona indiscutibile».
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