rassegna stampa

Totti-Roma, trent’anni d’amore tra cucchiai e magie

Assist e record su record nonostante qualche scintilla con i tecnici

Redazione

Quando Raffaele Ranucci lo portò via dalla Lodigiani, Francesco Totti era un adolescente. Era un’ipotesi. La Lazio lo aveva occhieggiato, ma vuoi mettere la Roma?, per un ragazzino di Porta Metronia il cui cuore aveva già scelto da che parte stare. Calcisticamente, s’intende, scrive Piero Mei su Il Messaggero.

La storia d’amore è stata lunga trent’anni e 307 gol. E’ difficile che un amore duri così a lungo, è difficile che un calciatore segni così tanti gol; sembra ormai impossibile, poi, che lo faccia indossando sempre la stessa maglia di club. Proprio a vestirne un’altra, era solo quella azzurra.

Trent’anni e 307 gol in 786 partite, in serie A le reti sono 250 e le partite 619. Il primo al Foggia, data 4 settembre 1994. L’ultimo non si deve ricordare:non è stato lui a scegliere quale fosse l’ultimo, lo hanno fatto altri. Eppure si trattava di gol pesanti: quelli che davano alla Roma un’altra chance da Champions, la possibilità che questa Roma con Totti semplice gagliardetto anziché bandiera, non ha avuto.

Francesco è cresciuto con la Roma e nella Roma, fino a uno scudetto, fino a quel magico 2007 che l’ha visto capocannoniere e scarpa d’oro, vincitore di due coppe. E’ cresciuto incarnando sempre un certo spirito “romano” (romanesco? forse), rugantino e strafottente all’apparenza.

Totti è andato avanti con colpi da maestro: mica solo i gol, anche gli assist; mica solo i cucchiai, anche gli aquiloni. Nel pantheon dei suoi “devoti” c’è ampia libertà di scelta per quale sia stato il gol più bello: quello che gelò il Bernabeu? Quello che fece alzare in piedi Marassi? Quale cucchiaio? Ne ha sfornato un servizio d’oro.

"Mo’ je faccio er cucchiaio" disse andando incontro a Van der sar. Glielo fece e lo beffò.

Trent’anni d’amore, alti e bassi, Carlos Bianchi detto “il mago della pampa” (scherzavano i più è un mago, ha fatto sparire la Roma) voleva venderlo; Mazzone gli fece da calcistico papà; Zeman, Capello e poi Spalletti che lo prese di punta, nel senso che lo mise prima punta. Poi l’avrebbe preso di punta anche nella sua seconda avventura romanista, ma questa è un’altra storia. Amara.