rassegna stampa

A Torino la solita musica

Un gesto ben più gentile delle ormai famose manette mimate da Mourinho ai suoi tempi

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La solita musica: è questo che voleva significare dalle acque territoriali della panchina della Roma, Rudi Garcia, mimando il gesto del violino al rigore ripensato a favor di Juve.

Un rigore con palla toccata con il braccio ma fuori area per l’inizio della conta del gol che sarebbe finita 3 a 2 per la Juve. L’ennesima sviolinata in bianco e nero, di quelle che hanno fatto la storia e la leggenda juventina? Un gesto ben più gentile delle ormai famose manette mimate da Mourinho ai suoi tempi, che sono anche quelli di oggi giacché Mou ha appena preso per la collottola, leggi la cravatta, il nemico Wenger durante Chelsea-Arsenal. 

Quello di Garcia, subito espulso dall’arbitro Rocchi, fiorentino, agente di commercio, è il gesto che accompagna, con i soliti accordi direbbe Enzo Jannacci, il risultato che ha separato la coppia di testa del campionato in corso e ancora assai lungo (che è un bene e un male: potremmo vederne delle altre).

La Juve va a più tre, con tre gol che hanno tutti l’acidulo sapore della polemica. Il braccio di Maicon era a protezione? Maicon era sulla linea o dentro l’area? Il fallo di Pjanic era in zona proibita o no? Vidal impallava la visuale di Skorupski sul tiro della domenica di Bonucci? Il recupero prolungato fino al gol, del cinquanta per cento del concesso prima, ci stava o no?

Sono tutte questioni che pesano sul risultato di ieri in casa bianconera, nella tana dello Juventus Stadium. E le risposte lasciano il tempo che trovano, perché chi ha avuto ha avuto e chi dato ha dato. Ad avere è assai spesso la Juve, a dare assai spesso gli arbitri. Eppure non ci vorrebbe molto: viviamo il tempo della tecnologia e quindi basterebbe una spruzzata di questa, che non fosse soltanto lo spray della vernice bianca per confinare il pallone da una parte e la barriera dall’altra, che è l’unica novità di una tecnologia casereccia che il calcio si sia concesso. La moviola: tutto qui.

Gli altri sport lo fanno: il tennis, il rugby, il golf, la pallavolo, anche se poi sono gli arbitri, ovviamente, a decidere. Ma una cosa è la possibilità di decidere alla cieca, un’altra quella di doverlo fare su base certa o quasi o almeno dovendo, e non solo potendo, utilizzare l’aiuto di ogni mezzo. Perché il calcio è diventato talmente importante, dal punto di vista del cuore com’è sempre stato ma ormai anche da quello della macroeconomia, che non si può più lasciare all’iniziativa d’un singolo e dei suoi errori decidere dove il pallone rotondo debba rotolare.

Tanto più se il singolo diventa un plotoncino (non d’esecuzione: la buona fede non è mai in discussione) e se l’arbitro numero uno viene indotto all’errore dall’arbitro numero due o tre o quattro o cinque o sei, ché tanti sono e la tecnologia alla fine sarebbe perfino un argomento da spending review.

Ma così va il mondo del pallone: la Roma torna al veleno dalla trasferta nel cielo juventino, né può bastarle la consolazione che l’una vale l’altra, e che a stabilire quale sia la vincente sia un fischio, anzi due o tre. Perché alla fine cambiano i suonatori ma la musica è sempre la stessa. E alla fine dei conti Garcia ha sbagliato strumento: non è un concerto d’archi ma un concerto di fischietti. Di un calcio Tavecchio e stantio.