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rassegna stampa

Testa a testa. La Roma senza difesa si affida alle “piccole”

LaPresse

Il calendario da qui alla fine di marzo offre alla squadra di Fonseca pochi scontri diretti e tante sfide contro formazioni di medio bassa classifica

Redazione

COSA VA

Non è tutto da buttare, elementi per costruire il futuro e dare un senso alla stagione, ci sono, scrive Alessandro Angeloni su Il Messaggero.

Sta a Fonseca coglierli, valorizzarli. E salvare se stesso, anche: si sa, il suo contratto si prolunga in automatico con il raggiungimento della Champions (poi è sempre la società che farà la sua valutazione). Partiamo da un dato numerico che vale poco ma è comunque qualcosa: rispetto alle prime due gare del girone di andata, la Roma nelle due del ritorno ha fatto due punti in più (zero a Verona, uno in casa con la Juve nella prima parte, tre e zero nella seconda).

Altro dato confortante: la Roma sa fare gol, lo dimostrano le 44 reti segnate in campionato (come il Napoli): meglio hanno fatto Inter (51) e Milan (45). Altro aspetto che non va sottovalutato: le vittorie contro le piccole che a volte fa da specchio con le non vittorie contro le grandi (da quando c'è Fonseca, solo 3 successi nei 20 scontri diretti, coppe comprese), sono un valore, un marchio di fabbrica. Una garanzia di punti. La Roma sa fare il suo, questa può essere vista come una garanzia.

E se guardiamo il calendario da qui alla fine di marzo (prima della sosta per le Nazionali) ne incontrerà un bel po': pochi scontri diretti e tante sfide contro formazioni di medio bassa classifica. Il 21 marzo, si comincerà davvero a capire le posizioni reali delle squadre. Per ora la Roma, seppure rimontata dalla Lazio e scavalcata dalla Juve, resta in piena corsa Champions. Con questi piccoli vantaggi, che dovranno essere sfruttati meglio. Altrimenti si ricomincerà tutto daccapo. Per l'ennesima volta.

COSA NON VA

Come per gli aspetti positivi, nell'affrontare cosa funziona meno nella Roma bisogna distinguere tra la figura del tecnico e la squadra, scrive Stefano Carina su Il Messaggero.

Dopo un anno e mezzo, pregi e difetti di Fonseca sono noti. Allenatore che ha dimostrato di saper cambiare idea e modulo (dal 4-2-3-1 al 3-4-2-1), di trovare delle soluzioni in emergenza (Mancini in mediana), meticoloso nel preparare le gare, meno bravo nel cambiarle. L'impressione che se ne ricava, è che se il canovaccio non è quello studiato alla vigilia, Paulo fatica a modificare in corsa l'inerzia del match. Nemmeno per quanto riguarda il complesso di inferiorità, ormai palese quando si affrontano le migliori del torneo, Fonseca può essere esente da critiche: i 3 punti sui 21 disponibili e le 20 reti subite (media 2,85) lo confermano. Sorprende poi l'idiosincrasia del portoghese per le due punte. Alla vigilia con la Juventus, aveva spiegato come Dzeko e Borja Mayoral avessero caratteristiche diverse, ritenendoli quindi complementari. Poi, nel post-gara, a chi chiedeva perché non avesse provato i due attaccanti insieme nell'ultima mezz'ora, ha replicato come la squadra «non è pronta per giocare così». Più un dogma che una spiegazione. Soprattutto a febbraio.

Dall'allenatore alla squadra, il passo è breve. Già 35 le reti subite (considerando le 3 della sconfitta a tavolino contro il Verona): la difesa non dà più garanzie. A partire dal portiere. Che sia Mirante (che potrebbe finire al Milan come chioccia di Donnarumma) o (soprattutto) Pau Lopez, il reparto non si sente sicuro. Così gli errori individuali si sommano a quelli di squadra (da ravvisare perlopiù quando si alza il baricentro). Ibanez, spesso e volentieri tra i migliori, quando si affrontano le big commette almeno un errore grave a partita.