rassegna stampa

Successi e polemiche del guerriero Sinisa

In campo, 315 partite di A. In panchina, 264. Dentro e fuori il rettangolo: schietto, estremo, irritato dal velluto del politichese

Redazione

"Dove sono nato io devi essere duro, non per scelta, ma per sopravvivenza". Figlio dei Balcani, di mamma croata e papà serbo, di quella guerra che "annulla buoni e cattivi" e qualcosa (molto) sotto pelle te lo lascia, scrive Matteo Sorio su Il Messaggero.

Sinisa Mihajlovic è un parente dell'est con cui tanta della famiglia italiana del pallone ha passato fin qui le sue domeniche: Milano (Milan), Torino (Toro), Genova (Samp) e Bologna al nord, Firenze e Roma (doppia sponda) al centro, Catania al Sud. In campo, 315 partite di A. In panchina, 264. Dentro e fuori il rettangolo: schietto, estremo, irritato dal velluto del politichese.

Classe '69, Mihajlovic è "italiano" dal '92, anno del trasloco da una luminosa Stella Rossa alla Roma del "secondo padre" Boskov ("Fu io a convincerlo a far esordire Totti").

Da centrocampista a difensore, la svolta d'abito (con Eriksson, Samp). Direttive, avvii del gioco, scudetti (Lazio 2000, Inter 2006) e bolidi da fermo: 42 gol su punizione (uno superando i 160 km/h) di cui 28 in A, record eguagliato solo da Pirlo nel 2015.

Il Mihajlovic che prepara lo schema contro la malattia è un 50enne che può allenarsi alla lotta come allena (incipit da vice-Mancini) le sue squadre. Toste, compatte, motivate. Dal catalogo delle (personali) citazioni: «Non dobbiamo avere paura che della paura» (Giulio Cesare), «Zero passi indietro, nemmeno per la rincorsa» (Che Guevara), «Guai a prendere il sentiero della sottomissione (John Kennedy). Difesa e testa alta, se il gioco arriva bene, ma la tigna non può aspettare.