Costi effettivi delle opere pubbliche, cubature sproporzionate, rischio speculazione sulle rivalutazioni dei terreni, la grana degli espropri. Approvata, faticosamente, la prima delibera del Comune, il percorso del progetto Tor di Valle rimane costellato di nodi ancora tutti da sciogliere, tanto da essere più simile a un campo minato che a una strada in discesa. Decisivo sarà il lavoro della Regione, che entro 6 mesi dovrà decidere se dare o meno l’autorizzazione definitiva al progetto.
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Stadio Roma, cubature record e dubbi sui costi. La corsa a ostacoli del progetto
Rimane sul tavolo anche la questione dei costi effettivi per le infrastrutture di pubblica utilità. Se aumenteranno, secondo la delibera del Campidoglio, dovrebbero essere a carico del costruttore.
ECOMOSTRO - Il primo ostacolo è il colosso da quasi un milione di metri cubi di cemento che il costruttore Parnasi vorrebbe tirare su accanto allo stadio. Un «Ecomostro» - così lo hanno definito le principali associazioni ambientaliste - destinato a un mega-centro di uffici e hotel. La Regione è già stata chiara. Alla Conferenza dei servizi preliminare ha scritto che «la superficie edificata è superiore di tre volte rispetto al consentito». E «va ridotta». Il Comune però ha apportato solo una mini-sforbiciata (-10%), forse anche sulla spinta dell’assessore “super-parnasiano” Caudo, che anche ieri si affrettava a dire che «le cubature non si toccano». Ma il nodo alla Pisana sarà affrontato. Già ieri Cristiana Avenali della Commissione regionale Urbanistica tuonava: «Oltre 800mila metri cubi sembrano una scelta assurda. Un interesse pubblico così non ci sarà mai». Anche Legambiente è tornata a picconare l’«Ecomomostro»: «Sarebbe una colata di cemento inaccettabile». Al tema cubature è legato quello del rischio-speculazione. Dato che i terreni - acquistati da Parnasi per 42 milioni - grazie all’operazione calcistico-immobiliare potrebbero fruttare, secondo alcuni studi, fino a 800 milioni. Questo al netto dei 900 milioni necessari per costruire lo stadio e il mega-centro commerciale. Come a dire: metti 42 milioni di euro per i terreni e ne incassi fino a venti volte tanto, con il placet del Comune. A qualcuno potrebbe sembrare un regalo troppo grande.
Rimane sul tavolo anche la questione dei costi effettivi per le infrastrutture di pubblica utilità. Se aumenteranno, secondo la delibera del Campidoglio, dovrebbero essere a carico del costruttore. Ma non è chiaro cosa accadrà se le cifre varieranno all’ingiù, di molto, tanto da stravolgere il sistema delle compensazioni. Il rischio è dell’ennesimo regalo a chi costruisce.
Altra spina: i 15mila uffici privati che verrebbero realizzati, muoverebbero oltre 25mila impiegati. Senza affrontare i problemi legati alla viabilità, c’è un tema di fondo: in un momento di crisi economica e imprenditoriale della città, è facile prevedere che nel nuovo mega-complesso più che nuove imprese arriverebbero i dipendenti di quelle già attive in altre parti - decisamente più facili da raggiungere - della città. Si tratterebbe insomma di «trapiantare» in blocco 25mila persone da una zona all’altra (ultra-periferica) da un giorno all’altro, snaturando un assetto urbano già in difficoltà.
AZIONI LEGALI - C’è poi la grana degli espropri: Parnasi possiede poco più del 50% dei terreni previsti. Della metà restante solo l’8% verrebbe «asservito» perché di proprietà pubblica. Il restante 40% è di altri privati e sarebbe da espropriare. Con tutti i ricorsi possibili (dal Tar al Consiglio di Stato) il progetto potrebbe naufragare o slittare di anni.
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