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Il Messaggero

Spinazzola: “A Monaco ho finito le lacrime. Ora sono distrutto, ma sorrido”

Getty Images

Il terzino della nazionale: "Che emozione la vittoria dell'Europeo! Ora penso solo a riposarmi. Ma quel viaggio a Londra non potevo certo perdermelo"

Redazione

Il riconoscimento della Roma arriva all’ora della pennichella, meritatissima, della Freccia Azzurra. Subito dopo pranzo e prima della pioggia. La foto in vetrina, al momento di ufficializzare la nuova maglia, è quella di Leonardo Spinazzola. È la più grande, in copertina. Poi arriveranno anche le altre dei titolari a disposizione di Mourinho. Ma il primo pensiero del club giallorosso è per il suo campione d’Europa. "Sono giorni fantastici per me", ammette Spina, intervistato da Ugo Trani su Il Messaggero, anche se già smania da convalescente. È ancora nella Capitale, nella villa di Casal Palocco. Accanto ha la moglie Miriam, pugliese conosciuta da ragazzino nella sua Foligno e sempre presente all’Olimpico per le tre partite della prima fase dell’Europeo, il primogenito Mattia, 3 anni e la maglia azzurra numero 4 del papà sempre addosso, e Sofia che è nata solo quattro mesi e mezzo fa. C’è anche Yago, il golden retriever che sta spesso sdraiato vicino al difensore.

In campo a Wembley per prendere la sua medaglia e sulle spalle di De Rossi per salutare i tifosi. Come sta Spina? "Distrutto. La gamba non c’entra. Sono state ore pesantissime. Emozione, ma anche tanta fatica. Sempre con le stampelle. Non so di quanti giorni ho bisogno per riprendermi. Non esco di casa, penso solo a riposarmi. Ma quel viaggio a Londra non potevo certo perdermelo e nemmeno il lunedì con il Quirinale, Palazzo Chigi e i festeggiamenti".

Ha rispettato la promessa fatta ai compagni. Disse che sarebbe tornato per la finale. Dove ha trovato questa sicurezza? "A Coverciano. So come abbiamo lavorato. In ritiro e anche prima. La nostra nazionale ha giocato meglio delle altre dall’inizio del torneo, confermando le vittorie e soprattutto le prestazioni delle qualificazioni. Successo meritato, dunque. Lo hanno riconosciuto pure gli avversari".

Il legame con Mancini, ma anche quello tra voi giocatori. Scherzi, canti e vittorie. Come è stata la vita di gruppo, vista da dentro? "Abbiamo creato l’ambiente ideale per arrivare al risultato. La nostra è una famiglia più che un gruppo. Legatissimi. In campo e fuori. Coinvolti pure quelli che sono rimasti a casa. Li abbiamo spesso sentiti, hanno tifato".

Bernardeschi, sul charter che vi ha riportato da Monaco a Firenze, ha preso il microfono e ha cominciato a intonare il coro «Spina-Spina». Che cosa ha provato?

"Sono state ore in cui la commozione è stata grande. Non mi ricordo se ho pianto. Ho finito le lacrime all’Allianz Arena".

Quando va in ferie?

"Non credo prima di fine mese. Ancora non posso iniziare la fisioterapia. Devo aspettare una settimana, quando mi leveranno il gesso e i punti. Sono qui con me anche i miei bambini e mia moglie. Aspettano me per le vacanze, non mi togliete anche loro".

Come è andato il primo incontro con Mourinho?

"Mi ha fatto piacere conoscerlo. È stato carino, mi ha detto che lui e la squadra mi aspettano in campo. Gli ho risposto che dovrà avere pazienza, la stessa che ho io".

Spinazzola è stato intervistato anche da Crosetti su La Repubblica.

Ci racconti quell’istante dell'infortunio Sento un colpo forte al tallone, con la coda dell’occhio cerco il belga che mi ha colpito ma non vedo nessuno, dietro di me quell’avversario non c’è. Arriva Cristante, crollo a terra e capisco. “Perché adesso, perché a me?”. Questo ho pensato. E poi ho pianto per quello che stavo perdendo.

L’ha perso, alla fine? Sì e no. Quando il presidente della Repubblica ha chiesto “dov’è il ragazzo con le stampelle?” ho capito su quale incredibile giostra emotiva ero salito, mi sa che non scendo più.

Dicono che la rottura del tendine d’Achille sia come una lama che recide tutto. Nel mio caso no. Dolore vero, solo la notte dopo l’operazione in Finlandia, per il resto tristezza ma non male. Il crociato è molto, molto peggio. Il crociato ti ferma la vita, il tendine devi solo aspettare che si calcifichi, è come uno strappo. Poi ci lavori sopra, non è un problema meccanico ma di fibre. Tra una settimana tolgo i punti e comincio con un obiettivo al giorno, e se tra 6 mesi non riprendo a giocare vado in campo per forza, da solo, e voglio vedere chi mi acchiappa.

Cosa le ha detto Mancini il giorno della sua partenza? Mi ha ha sussurrato all’orecchio “complimenti Spina, sei stato tra i migliori e noi ti aspettiamo”. E io gli ho risposto: “Tranquillo, mister, tanto ci vediamo l’11 luglio”.

Lei è stato il primo a prendere la medaglia. Giorgio, il nostro capitano, mi ha detto: “Vai tu, te lo meriti”. E io sono scattato come un pazzo ma avevo paura di cadere, pensate che figura avrei fatto, peggio di Fantozzi. Poi   stato meraviglioso. Mi hanno caricato sulle spalle in tanti, Jorginho, De Rossi, Toloi, ma io sono pesante, mica facile.

Lei è arrivato al successo non tanto presto. Perché? Non ero ancora maturo, e ho faticato parecchio a trovare il ruolo giusto in campo. A Empoli con Sarri ho cominciato da esterno d’attacco, però non si vinceva e lui cambiò modulo, così non c’era più spazio per me. Volevo giocare, ma neanche a Lanciano trovavo posto. A Siena mi dicevano “aspetta, porta pazienza e il tuo momento verrà”: giocai molto bene da gennaio a giugno, poi passai all’Atalanta dove Colantuono mi mise fuori dopo poche partite. Andai via anche da lì. Finisce che gioco poco anche a Vicenza, in B, sceso di categoria, e finalmente a Perugia con Bisoli comincio a fare il terzino sinistro. Ma servivano Gasperini e l’Atalanta per aprirmi la mente: ecco, lì giocavo già come all’Europeo, però si notava meno.

Come ha fatto a tirar fuori Spinazzola da Spinazzola? Con infinita pazienza. Anche la Juve e la Roma sono servite tanto, naturalmente.